Da venerdì un fantasma si aggira per il Piemonte: il rapporto tra mafia, politica, imprenditoria. Per scacciarlo non serviranno aglio e scongiuri, ma decisioni chiare e tempestive da parte di tutti i soggetti in scena, istituzionali e non.
Per uno strano gioco del destino il Piemonte, dopo avere avuto gli Uffici di Procuratore Generale e di Procuratore della Repubblica di Torino retti (in maniera eccellente) da facenti funzioni, ha salutato nel giro di settantadue ore il nuovo Procuratore generale (al maschile come ha detto di preferire) la dott.ssa Lucia Musti ed il nuovo Procuratore della Repubblica di Torino il dott. Giovanni Bombardieri. La dott.ssa Musti arriva da Bologna dove ha lavorato per decenni contribuendo in maniera determinante, tra l’altro, al buon esito del processo Aemilia, che ha colpito drasticamente la ‘ndrangheta in Emilia Romagna anche nei suoi collegamenti con il mondo dell’imprenditoria legale e delle professioni. Il dott. Bombardieri arriva da Reggio Calabria dove ha contribuito a portare avanti alcuni tra i più importanti processi celebrati in Italia contro la ‘ndrangheta, colta anche nei suoi rapporti strategici con altre mafie italiane, la politica e l’imprenditoria.
Insomma, il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) pare aver voluto dare un chiaro segnale al Piemonte: il lavoro iniziato con Minotauro nel 2011 e che ha prodotto decine di altri procedimenti, non è finito. Intendiamo finirlo.
A sottolineare la centralità di questa missione senz’altro molto impegnativa, anche la partecipazione all’insediamento del nuovo Procuratore di Torino niente meno che del Procuratore nazionale anti mafia ed anti terrorismo Giovanni Melillo, arrivato apposta da Roma e che nel suo indirizzo di saluto non ha mancato di evidenziare la ferma volontà di intensificare l’attività di coordinamento, anche sul piano internazionale.
In verità agli osservatori attenti non è sfuggita una serie di segnali (almeno negli ultimi due anni) che fa pensare ad un progressivo, puntuale, accumulo di materiale pronto a tradursi in un “balzo in avanti” nella lotta a mafia e corruzione: il muro di omertà della ‘ndrangheta crepato dalla decisione di alcuni mafiosi di “saltare il fosso” e di collaborare, alcuni procedimenti che sembrano sospesi come nuvole cariche di pioggia, la presenza in diverse ordinanze di custodia cautelare di profili apparentemente di secondo piano che però paiono fare da anelli di congiunzione tra una inchiesta e l’altra, gli intrecci appena accennati tra “mondo di sotto”, i mafiosi alla ricerca di denaro e “mondo di sopra”, imprenditori a caccia di profitti e politici affamati di voti.
Chissà, forse per il “balzo in avanti” si attendeva proprio la fine delle reggenze, non foss’altro che per garbo istituzionale: l’azione penale è obbligatoria (per ora!), ma il suo esercizio in concreto dipende da molti fattori e tra questi anche quello di una piena legittimazione di quegli Uffici che devono assumersi la responsabilità di firmare atti scomodi e che è bene condividano una certa linea interpretativa di fatti e norme.
Ma questa congiuntura non deve in alcun modo suggerire atteggiamenti “attendistici” in chi abbia a cuore la legalità democratica, fonte di uguaglianza e quindi di giustizia. Non si tratta di stare a guardare, facendo scommesse su come possa andare a finire. Si tratta piuttosto di domandarsi, ciascuno per il proprio ruolo, cosa ognuno possa fare per contribuire a trasformare questa congiuntura in un “balzo in avanti” per tutta la società piemontese nella direzione della migliore qualità della vita.
Mi piace pensare che in questo senso possano essere interpretate le prime parole pronunciate dal nuovo Procuratore di Torino (e distrettuale!) Giovanni Bombardieri che significativamente ha iniziato il suo intervento dai testimoni di giustizia, da coloro cioè che avendo subito o avendo visto, decidono di non voltarsi dall’altra parte e di non cercare accomodamenti ma di denunciare. Per Bombardieri queste persone non devono mai più essere lasciate sole né dallo Stato, né dagli altri cittadini: parole a cui non posso che associarmi per la conoscenza che ho proprio della dolente e talvolta disperata solitudine nella quale vivono alcuni testimoni di giustizia in Piemonte.
Mi è sembrato che le parole di Bombardieri contenessero un appello a diventare tutti testimoni, che poi è il modo migliore per non lasciare a nessuno un fardello troppo grande. Ognuno testimone come può, nel proprio campo. Un appello, direi, rivolto anche alla politica che non deve tardare a fare chiarezza perché se è vero che comportamenti inopportuni e moralmente censurabili non diventano di per sé mafiosi è altresì vero che la collusione tra mafia e politica è sempre preparata da condotte inizialmente “soltanto” inopportune e moralmente censurabili. La campana dell’ultimo giro è suonata.