Calcio

Meno tasse sui calciatori stranieri: la Serie A non molla e rivuole i suoi privilegi fiscali. Così Forza Italia riesuma il Decreto Crescita

Pagare meno tasse sugli stipendi dei calciatori stranieri. Un privilegio immotivato, una pretesa anacronistica mentre si parla di giovani italiani che non giocano. Quasi un’ossessione per i presidenti del pallone. E così la Serie A ci riprova: in Parlamento rispunta il famoso Decreto Crescita. Un’altra volta. La politica si ritrova di nuovo a parlare degli […]

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Pagare meno tasse sugli stipendi dei calciatori stranieri. Un privilegio immotivato, una pretesa anacronistica mentre si parla di giovani italiani che non giocano. Quasi un’ossessione per i presidenti del pallone. E così la Serie A ci riprova: in Parlamento rispunta il famoso Decreto Crescita. Un’altra volta.

La politica si ritrova di nuovo a parlare degli sgravi fiscali ai club. Perché come nel mito di Penelope, il governo fa e la maggioranza disfa, anche se forse in questo caso sarebbe più appropriato il contrario: il governo abroga e la maggioranza (ispirata dai soliti noti) prova a reintrodurre. In passato il Decreto Crescita ha permesso alle squadre di beneficiare di un regime fiscale agevolato per quanto riguarda i lavoratori che portano la residenza in Italia, cioè nel caso del pallone i calciatori stranieri: per anni hanno pagato l’Irpef solo su una parte dell’imponibile , e ciò ha permesso di stipulare contratti più vantaggiosi (ad esempio, uno stipendio da 5 milioni netti costava alle società circa 7,5 milioni lordi invece che 10). Una norma che fu introdotta nel 2019 dal governo gialloverde e che avrebbe dovuto favorire l’arrivo di grandi stelle internazionali, ma che ha finito per portare anche e soprattutto giocatori medi o mediocri in concorrenza economica sleale con i nostri italiani. Per questo, sull’onda emotiva della mancata qualificazione agli ultimi Mondiali, è stata cancellata dal governo Meloni lo scorso autunno.

Non è stato semplice: da quando è diventata nota l’intenzione dell’esecutivo, i presidenti (e in particolare il loro rappresentante in parlamento, il senatore-patron Claudio Lotito) hanno fatto il diavolo a quattro. Da ultimo, quando ormai l’abrogazione era passata, avevano provato ad infilare una mini-proroga per salvare il mercato di gennaio, con la speranza neanche troppo nascosta di aprire un tavolo col ministro Andrea Abodi e varare un nuovo provvedimento, a condizioni diverse per l’estate. Ma non se n’è fatto nulla e di recente persino la premier Giorgia Meloni è tornata sull’argomento bocciando lo sgravio pubblicamente.

Sembrava un capitolo chiuso, insomma. Ma i patron sono cocciuti, uno più degli altri in particolare. Nelle ultime ore, è stato presentato un emendamento al Decreto Omnibus che riesuma la norma defunta: prevede di spostare il termine ultimo per la stipula dei contratti, che era stata fissata al 31 dicembre 2023, fino alla fine del 2027. Praticamente, a scadenza passata, si cambiano le date con l’effetto di rinviare di quattro anni a posteriori l’abrogazione della legge. La firma è di Forza Italia, in particolare del senatore Dario Damiani, e anche questa non è una sorpresa: il capogruppo in Commissione Bilancio è molto vicino a Lotito, che in passato l’ha definito “amico fraterno”. Lo ricambia con un bel favore: con questa norma già dalla prossima finestra di gennaio i club potrebbero tornare a risparmiare sugli stipendi degli stranieri (con buona pace delle nostre nazionali).

Resta da capire la reazione interna alla maggioranza a questa forzatura, sia sul piano politico che normativo (la legittimità è tutta da decifrare). Giorgetti è sempre stato contrario, con toni diversi anche il ministro Abodi che non può permettersi di farsi scavalcare un’altra volta dal parlamento, e nell’ultima occasione anche Salvini si mise di traverso. In condizioni normali il no da parte del governo dovrebbe essere scontato. Ma Lotito – sì sa – da un orecchio gli entra, dall’altro gli esce.

X: @lVendemiale