E’ di questi giorni la notizia che centinaia di medici si stanno dimettendo dalla British Medical Association: il grande sindacato medico si era opposto al divieto del governo inglese di utilizzare bloccanti della pubertà e trattamenti chirurgici per adolescenti con “disforia di genere”, la condizione in cui il soggetto non si riconosce nel genere biologico di appartenenza. L’Inghilterra era stata fra i primi paesi al mondo a permettere il cambio di genere e già nel 1989 era stata aperta a Londra una clinica pubblica ad hoc, la Tavistock che aveva visto crescere enormemente il numero di giovani che ad essa si rivolgevano per intraprendere un percorso farmacologico e talvolta chirurgico irreversibile: ben 5.000 richieste nel 2021-22 rispetto alle 250 del decennio precedente.
Tuttavia una ispezione governativa sull’attività praticata nella clinica ha portato ad un rapporto in cui si denunciavano “forti criticità” ed un indiscriminato incoraggiamento alla transizione di genere per cui, nella primavera del 2023 la clinica Tavistock è stata chiusa e nel marzo di quest’anno vietato in Inghilterra sia l’utilizzo di farmaci a questo scopo, quali la triptorelina, che blocca produzione e rilascio di ormoni sessuali, che la somministrazione di ormoni del sesso opposto (testosterone nelle ragazze ed estrogeni nei ragazzi).
Ricordo che in Italia nel 2019, con determina n. 21756/2019, l’AIFA ha inserito la triptorelina nell’elenco dei medicinali erogabili “off label”, ovvero al di fuori delle indicazioni consolidate (tumori ormosensibili a prostata e mammella ad esempio), potendo quindi essere usata anche nel nostro paese per bloccare la “pubertà fisiologica” nel caso di adolescenti con disforia di genere.
Personalmente ho accolto la “ribellione” dei medici inglesi con molto favore, perché ciò mi fa ben sperare sul fatto che finalmente la classe medica, almeno nel Regno Unito, dia segnali di risveglio rispetto a quell’atteggiamento ideologico generalmente noto come “ideologia gender” che – a mio parere – ha procurato già fin troppi guai.
Nell’aprile del 2023 l’Economist definì “tragedia delle buone intenzioni” questo genere di terapie nei minori, denunciando che “troppi i medici hanno sospeso il loro giudizio professionale”, sposando acriticamente il modello di transizione di genere dei minori in assenza di prove. Purtroppo anche in questo delicatissimo campo direi che la Medicina si è fatta scavalcare dall’ideologia e anche le istituzioni che dovrebbero vigilare sul benessere e sulla salute sembrano ormai asservite a modelli sociali e culturali la cui validità è tutta da dimostrare.
Nel dicembre 2023 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ad esempio, ha diffuso la pubblicazione del panel incaricato di stilare linee guida relative alla salute transgender concentrate su 5 aree: fornitura di cure per l’affermazione del genere, formazione medica, politiche sanitarie per l’affermazione del genere, “fornitura di assistenza sanitaria per le persone trans e gender diverse che hanno subito violenza interpersonale basata sui loro bisogni”, nonché “riconoscimento legale dell’identità di genere autodeterminata”. Con tutti problemi che affliggono la popolazione infantile, a cominciare dalle stragi in corso, c’è da chiedersi se davvero la transizione di genere rappresenti una priorità.
Colpisce poi l’estrema frettolosità con cui l’Oms intende affrontare un tema indubbiamente controverso e delicato quale la disforia di genere, il brevissimo tempo concesso per i commenti pubblici (8 febbraio 2024), il linguaggio stesso che non appare affatto neutrale, ma già preordinato e soprattutto l’anomala composizione del panel di cui oltre 1/3 è composto da membri di WPATH (Word Professional Association of Trasgender Health). Fra questi alcuni hanno rilasciato dichiarazioni a dir poco “esplosive”: Florence Ashley, giurista e bioeticista “transfemminile”, ritiene che il blocco della pubertà dovrebbe essere “offerto” a tutti, cosicché ciascuno possa decidere in quale genere identificarsi e procedere più facilmente con terapie ormonali ed interventi chirurgici spesso devastanti.
Il malessere percepito da una persona che non si riconosce nel genere di nascita, è un problema che investe e sconvolge la nostra identità più profonda ed interessa soprattutto l’adolescenza, età già di per sé difficile, confusa, in cui si è alla ricerca di sé ed in cui sono comuni – ed entro certo limiti direi fisiologiche – criticità anche su questo versante, criticità che fortunatamente si risolvono spontaneamente nella stragrande maggioranza dei casi.
Viceversa enfatizzare, fino a considerare “normale” il fatto di poter scegliere a quale genere appartenere, indipendentemente dalla biologia, può portare ad intraprendere un complesso percorso di trattamenti medici e chirurgici, in gran parte irreversibili e di cui alcuni soggetti che l’hanno intrapreso si pentono.
Ci sono anche altri aspetti che trovo inquietanti: la spasmodica ricerca di “inclusività” e l’esasperata pseudo “uguaglianza”, che quasi arriva a negare la diversità biologica fra maschio/femmina. Questi aspetti tradiscono, a mio avviso, l’innata, ed oggi più che mai conclamata, tentazione dell’uomo di dominio sulla Natura, in una sorta di delirio di onnipotenza in cui tutto ciò che è fattibile è anche automaticamente lecito e desiderabile. Ciò cui stiamo assistendo è lo “pseudo trionfo” di una libertà senza freni e senza vincoli, l’affermazione di una volontà di autodeterminazione in lampante contrasto con la Biologia e la Natura stessa.
Io credo che sia in gioco il sovvertimento della nostra essenza umana più profonda uno sconvolgimento di cui ancora una volta il prezzo più alto sarà pagato dai nostri giovani, sempre più confusi, fragili, depressi e infelici. Parafrasando Publio Cornelio Tacito che scriveva: “Orribile quel tempo in cui tocca sguainare la spada per affermare che l’erba è verde e la neve bianca”, noi oggi potremmo dire “orribile quel tempo in cui tocca sguainare la spada per affermare che siamo maschi e femmine” .