Di una cosa gli esperti sono certi: l’esplosione simultanea – in Libano ma anche in Siria – di centinaia di cercapersone utilizzati dai miliziani di Hezbollah è un “attacco molto sofisticato“. Un fatto inedito che ha provocato morti e migliaia di feriti. I membri del “Partito di Dio” filo-iraniano hanno accusato Israele della “totale responsabilità” per le esplosioni: da Tel Aviv non arriva nessun commento ufficiale ma i media arabi puntano il dito contro il Mossad, il servizio segreto israeliano specializzato nelle operazioni all’estero ed esperto, tra le altre cose, anche di hacking. Ma cosa c’è dietro questo attacco? In queste ore concitate, diversi esperti ipotizzano due principali opzioni: un malware che ne ha causato il surriscaldamento e l’esplosione in simultanea dei dispositivi, ma anche la possibilità del sabotaggio con i cercapersone manomessi, con l’inserimento di una micro-carica esplosiva, prima di essere distribuiti tra i membri di Hezbollah.
L’utilizzo dei cercapersone – Di certo c’è che Hezbollah temeva l’infiltrazione israeliana negli strumenti tecnologici utilizzati dal gruppo. L’utilizzo dei cercapersone sarebbe nato proprio da queste preoccupazioni. Gli smartphone erano diventati un problema. Dopo l’uccisione di alcuni comandanti in raid mirati di Israele, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, aveva chiesto a tutti i membri del partito di smettere di usare telefonini, di distruggerli, seppellirli o chiuderli in una scatola di ferro. “In questa fase, sbarazzatevi di tutti i cellulari, sono agenti di morte”, aveva dichiarato. E mentre veniva chiesto di disconnettere anche le telecamere di sicurezza da internet (uno dei mezzi usati da Israele per riconoscere possibili bersagli), era arrivato l’ordine ai miliziani di non portarsi dietro il cellulare. Così sul campo di battaglia (e non solo), gli smartphone hanno lasciato il posto ai pager.
Il malware – Il canale saudita Al-Hadth ha affermato che i cercapersone esplosi erano “dell’ultimo modello adottato da Hezbollah negli ultimi mesi”. Un’informazione confermata da un funzionario di Hezbollah, che ha parlato a condizione di mantenere l’anonimato all’Associated Press: il nuovo tipo di cercapersone portatile utilizzato dal gruppo prima si è surriscaldato, poi è esploso. “Un messaggio è arrivato sui dispositivi prima dell’esplosione“, riporta la rete libanese Mtv. Tutti elementi che sembrano avvalorare l’ipotesi che l’attacco sia stato provocato da un malware, un codice malevolo inviato ai dispositivi in grado di sovraccaricarli e portare al surriscaldamento e all’esplosione della batteria. Una fonte di Hezbollah – riporta il media israeliano Ynet – ha affermato che alcuni membri dell’organizzazione “hanno sentito che i dispositivi si stavano surriscaldando” e si sono sbarazzati di loro prima che esplodessero. Un attacco a livello di software difficile da ipotizzare nei vecchi modelli, ma potenzialmente possibile nei cercapersone moderni, in grado di riceve dati più complessi. Un attacco mirato ai soli dispositivi posseduti da Hezbollah, presupporrebbe comunque la conoscenza di informazioni relative alla rete da loro utilizzata.
La manomissione – L’analista militare, Elijah Magnier, interpellato da Al Jazeera, punta invece su una seconda ipotesi: i dispositivi potrebbero essere stati manomessi prima di essere distribuiti tra i membri di Hezbollah. Un attacco tanto sofisticato, viene sottolineato, da “richiedere la collaborazione di più entità”. Per l’analista “un’operazione di questa portata richiede la presenza di esplosivi ad alto potenziale, anche in piccole quantità”. Inserire micro-cariche da 1 a 3 grammi di materiale altamente esplosivo, senza compromette la funzionalità del cercapersone, però richiede anche tanto tempo. Secondo Magnier, i servizi segreti israeliani potrebbero essersi quindi “infiltrati nel processo di produzione, aggiungendo ai cercapersone una componente esplosiva”, oltre a “un meccanismo di attivazione a distanza senza destare sospetti”. Un’operazione, pertanto, che sarebbe stata preparata da tempo. L’altro aspetto è il coinvolgimento di una terza parte: il venditore di dispositivi, che potrebbe essere stato “una copertura per i servizi di intelligence o un intermediario che lavora con Israele per facilitare la distribuzione di questi dispositivi agli Hezbollah”. In più viene anche fatto presente che è l’Iran a fornire a Hezbollah la maggior parte delle sue attrezzature: “Molto probabilmente gli iraniani ora esamineranno tutti i loro prodotti e le loro attrezzature per assicurarsi che nessuno abbia manomesso ciò che hanno acquisito”, conclude l’analista aprendo scenari ancora più ampi.