“Andiamo a Madrid, vedrai Ethel, ti piacerà un casino”. “Ok, andiamo in aereo ovviamente”. “Ma tu sei pazza, gli aerei precipitano”. “E le macchine si schiantano!”. “Non la mia, e poi ho io il volante in mano, mentre in aereo se il pilota decide di suicidarsi siamo tutti fottuti”. “Gli aerei sono i mezzi più sicuri del mondo insieme agli ascensori, è molto più pericoloso in macchina”. “Il pericolo è eccitante, fidati, bisogna sempre seguire ciò che eccita di più nella vita”. “Non mi sembra molto eccitante passare 15 o 16 ore in macchina, magari col rischio di file chilometriche”. “Invece in
macchina c’è più libertà, possiamo decidere di fermarci al monastero di Montserrat, ci godremo il paesaggio spagnolo che sembra un paesaggio western e poi faremo una tappa intermedia
a La Ciotat dove i fratelli Lumière hanno girato uno dei primi film della storia del cinema, l’arrivo del treno alla stazione!”.

Ok, con La Ciotat sono riuscito a convincere Ethel. Passiamo tre notti a La Ciotat. La prima notte, dei francesi mezzi italiani di origini tarantine mi rifilano in un mercatino delle gelatine zuccherose al prezzo di 66 euro! Immangiabili. Oggi le butterò nella spazzatura. In un ristorantino mangio le cozze al roquefort, Ethel è vegetariana e prende un’insalatina (poveri vegetariani). Il giorno dopo facciamo un giro in barca nelle calanques, spettacolo meraviglioso della natura, mare turchese e insenature costeggiate da massicci calcarei, incastonate tra Marsiglia e Cassis. La sera una capatina a Marsiglia, assistiamo subito a un arresto, tanto per non sfatare il mito di città pericolosa, Marsiglia è sporca, ma uno sporco vivo che ti mette addosso la voglia di vivere, poi tanto c’è il suo famoso sapone se uno è un igienista incallito.

Il giorno dopo faccio un bagno in una delle calanques chiamata Becco d’aquila, acqua gelata e pura, Ethel mi guarda e mi filma, sono il suo eroe. Una visita al cinema Eden, il cinema più vecchio
del mondo, altra passeggiata notturna, evitando il mercatino con le maledette gelatine. Il giorno dopo si parte verso Madrid! Non mi sento bene, sarà stata l’acqua gelata, qualche cozza
maldisposta verso di me? Non lo so. So solo che non mi sento bene.

Ethel è al volante, siamo in autostrada, c’è stato un incidente, la famosa coda chilometrica predetta da Ethel. Io non riesco a tirare giù il finestrino in tempo e vomito in macchina! Un incubo, ma intanto non siamo precipitati in aereo! Sono soddisfazioni. Ah, mi sono dimenticato una cosa, prima di partire da La Ciotat sono voluto andare alla famosa stazione dei Lumière e ho filmato col telefonino l’uscita del treno, al contrario dei padri del cinema che filmarono l’arrivo.

Ore e ore bloccati in autostrada. Ethel mi fissa con rimprovero, ma non troppo, in fondo è una persona gentile e di cuore. Ci fermiamo in un autogrill, gli spagnoli vanno matti per l’insalata russa, la fanno con tanto tonno, c’è dappertutto, ma ho appena vomitato e non la prendo. La cassiera batte due volte lo stesso prodotto, Ethel glielo fa notare, come farei senza di lei? Perso in un mondo di
piccoli truffatori.

Ci avviciniamo a Barcellona, Madrid è ancora lontana, siamo stanchi. Decidiamo di fermarci per una notte al monastero di Montserrat. Di questa tappa mi ricordo la salita per arrivare all’abbazia, la montagna di Montserrat sembra fatta con le colature di sabbia dei bambini sulla spiaggia, poi ricordo una deliziosa cameriera al ristorante, il monastero non lo visito perché vengo preso da un attacco di cacarella. La cacarella mi accompagnerà fino a Madrid e oltre. Non è simpatico avere la cacarella quando sei in viaggio in macchina con la tua compagna, ma Ethel per fortuna ha delle pillole che la contrastano e mi salvo in qualche modo. Comunque, sempre meglio che precipitare in aereo, magari con la cacarella!

Finalmente arriviamo a Madraddo (come la chiamo scherzosamente io). Ci sistemiamo in un albergo a quattro stelle proprio sulla Gran Via. Che dire di Madrid? Non è tanto l’architettura che mi
colpisce (preferisco Barcellona), ma la varietà dei tipi umani, città almodovariana, con tanti gay simpaticissimi e originali, città divertente e vitale, elegantemente maestosa, con grandi parchi e una serie infinita di posticini dove abbuffarsi di tapas. Una città da camminare, passo dopo passo, piccolo stupore dopo piccolo stupore.

Su una panchina incontriamo Pilar, siamo vicini al tempo egizio donato a Madrid, il tempio di Debod, Pilar è una vecchiettina serena, sola, sorridente, ci dice che non ha un debole per le mummie, preferisce le persone vive, come darle torto? Sta ascoltando col telefonino una musica di Carlos Gardel, questa musica avvolge i suoi ricordi, sento che è vedova e che quella musica le ricorda un viaggio col marito, non c’è dolore in lei, ma una leggera e intoccabile nostalgia, non la dimenticherò mai, la salutiamo ed è l’addio più lieve della mia vita. Quando si viaggia si fa collezione di questi addii fuggitivi ed eterni allo stesso tempo.

Dato che siamo due personcine che amano l’arte, ci facciamo i tre famosi musei di Madrid: Prado, Thyssen e Reina Sofia. Al Prado
ti immergi con spavento nelle pitture demoniache di Goya per risalire al suo ultimo periodo luminoso della serafica lattaia di Bordeaux, poi ti imbatti nella teologia della pittura: Las Meninas di Velázquez, un gioco di sguardi labirintico in cui smarrisci la ragione e la ritrovi più splendente che mai assisa su un trono d’arte purissima. Sempre al Prado ci sono dei quadri di Tiziano che ti lasciano senza fiato e ti comunicano una gioia di vivere antimuseale, nel senso che senti l’impeto di fuggire all’aperto nella luce pastosa della vita di Madrid.

Il Thyssen è il museo più divertente, spazi dal Rinascimento alla pittura moderna, si tratta di una raccolta privata della famiglia
del magnate tedesco-ungherese dell’acciaio Thyssen e vieni preso da un senso di gratitudine verso questa lega ferrosa e di carbonio e dentro di te, anche se sei di sinistra, provi anche una devozione artistica verso il capitalismo, passi davanti ai ritratti a figura intera del signor Thyssen e signora e ti togli il panama per “riconoscenza pinacotecentrica”.

Infine il Reina Sofia dove si va a venerare Guernica di quel meraviglioso filibustiere chiamato Picasso. Guernica è un quadro ipnotizzante, l’orrore del bombardamento fascista di Guernica
(26 aprile 1937) si scompone in un grottesco sublime che trasforma un crimine fratricida di guerra in un capolavoro eterno dove il rosso del sangue è solo un fantasma interiorizzato.

Arriva il momento di dire addio o arrivederci anche a Madrid, sul viaggio di ritorno ci fermiamo a Port Lligat, una bellissima baia dove Dalì e Gala costruirono il proprio nido di case di pescatori unite tra di loro. Una piscina a forma di fallo, l’omino della Michelin che piaceva tanto al surrealista dai baffetti in perenne erezione, un maggiordomo orso polare impagliato che ti accoglie all’ingresso, incutendoti ilarità più che timore. Tante foto della vita di Dalì, tra cigni impagliati e la foto della vergogna massima: Dalì che stringe la mano al dittatore Franco, l’assassino del suo amico Federico Garcia Lorca. Diciamolo in tutta sincerità: Dalì era uno stronzo.

Ultima tappa: Nizza. Ed è qui che nasce la disfatta del viaggio. Per la
prima volta in vita mia scelgo di fare il tirchio (ho speso tanto in questo viaggio), prendiamo una stanza piccola con un bagno ancora più piccolo, il cellulare mi cade nel lavandino pieno d’acqua perché intasato e perdiamo tutte le foto di Madrid, il cellulare annega e si spegne. La mattina dopo, col mio cellulare fuori uso e quello di Ethel che non prende all’estero, siamo costretti a fare a meno del navigatore ed è il delirio, ci rendiamo conto che non siamo più in grado di seguire le care e vecchie indicazioni stradali. Ethel è alla
guida e ha una fretta micidiale perché ha avuto l’idea geniale di prendere appuntamento con la parrucchiera a Milano.

Sbagliamo l’uscita dell’autostrada e ci perdiamo in una serie di stradine panoramiche, Ethel inizia ad urlare, un attacco isterico di quelli che non si dimenticano, troviamo traffico e code, suggerisco ad Ethel di smettere di urlare perché si guida meglio quando non si urla, niente da fare, l’intensità delle urla aumenta, le dico che in fondo la ricrescita non le sta male, niente da fare, allora faccio una cosa orribile da cronaca nera: le butto addosso l’acqua di una bottiglietta di plastica. “Bravo, mi lanci addosso l’acqua come si faceva nei manicomi, noi donne siamo tutte isteriche vero? Non siete voi uomini ad essere stronzi?”.

Mi viene il sospetto di essere uno stronzo e mi chiudo in un silenzio d’attesa. Ethel telefona alla parrucchiera e la prega di aspettarla, farà
circa un’ora di ritardo. Arriviamo a Milano stremati, Ethel scende al volo e va a farsi il colore. Torna tutta colorata, senza più ricrescita, prende i bagagli dalla mia Yaris e manco ci salutiamo. Fine. Che dite? Forse era meglio prendere l’aereo e precipitare?

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