La notizia è stata subito archiviata. Come in un film dell’orrore, Satnam Singh era stato “scaricato come un sacco di spazzatura vicino a casa sua” (Times of India, 19 giugno 2024). Nel suo paese di origine, l’incidente aveva “suscitato indignazione contro il gang-mastering e le moderne forme di schiavitù in Italia, in particolare nelle regioni meridionali.
“L’indignazione per la morte di Singh evidenzia le difficoltà incontrate da migliaia di immigrati indiani che lavorano nel settore agricolo italiano. Questo tragico evento sottolinea le pessime condizioni di lavoro e la mancanza di adeguate misure di sicurezza” (Times of India, 26 giugno 2024). Gang-master sono sia i caporali, sia gli intermediari illegali e i trafficanti, sia i padroni aguzzini che maltrattano i dipendenti. L’esistenza di questi ultimi è condizione necessaria e sufficiente all’esistenza, alla prosperità e all’impunità dei primi due.
Invero, la normativa italiana è sicuramente tra le più rigide e inflessibili in materia di lavoro e lavoro nero nei campi. E sono sicuro che, nel corso dell’estate post-Satman, il rispetto delle norme sia stata garantito dalle istituzioni in modo rigoroso, capillare e severo in tutto il paese. E avrei anche gradito leggere sulla libera stampa qualche conferma, a valle di scrupolose inchieste sul campo.
Durante la vendemmia, lo Stato italiano e la sua manomorta regionale applicano la normativa in modo rigoroso. Vengono sanzionati in modo severo, inflessibile e immediato i parenti e gli amici che fossero saliti in collina spinti dall’illusione di dare una mano. Nonché l’agricoltore che li ospita, assimilato al gang-master. Giusto così, forse. In questo modo, però, ai cittadini non è più concesso di vivere momenti di profonda condivisione. E una parentesi poetica.
Erano giorni intensi. I ragazzi di città non sono abituati al lavoro duro. E neppure ad alzarsi presto e pranzare a mezzodì. Minestrone e, qualche volta, perfino i ravioli al brasato della zia. Mentre i grandi bevevano il vino spillato dalla botte, ai piccoli toccava l’acqua del pozzo gassata dalla Idrolitina. Era una grande tavolata, perché allora ci si aiutava reciprocamente. Alla vendemmia partecipavano anche i contadini vicini che a loro volta erano stati aiutati o sarebbero stati aiutati da mio zio che prestava loro le sue attrezzature d’avanguardia, secondo un calendario concordato senza ombra apparente di competizione.
Non manca qualche ricordo meno lieto, il nugolo di vespe che mi massacrò dopo che avevo calpestato inavvertitamente il loro nido: “Cupo di vespe era un ronzio per tutto, calda era l’uva e, nei bigonci ancora, rendeva già l’odor del mosto e il flutto” (Giovanni Pascoli, La vendemmia). Nel racconto biblico la vendemmia esprime la gioia ma anche il dolore. L’odore del mosto, la gioia di pigiare a piedi nudi l’uva nella tinozza, il clima festoso e gli scherzi tra ragazzi di città e di campagna, oggi alimentano memorie lontanissime, ma ancora presenti, più di altri ricordi dell’infanzia, scolastici e sportivi.
Ravanando tra gli anfratti di Internet, ho scovato un ricordo molto emozionante di mio zio Ernesto. Dopo la Liberazione, egli per vari anni fu sindaco di Portacomaro, un paese caro a Papa Francesco. E, nell’Anno Santo in cui nacqui, assieme al Comitato provinciale dei Partigiani della Pace e vari sindaci dell’astigiano, egli promosse la Marcia per la Pace in adesione all’appello di Stoccolma contro la bomba atomica (Figura 3). Non avrebbe potuto darmi un migliore benvenuto in questo mondo.