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“Società ungherese dietro i cercapersone esplosi in Libano”: l’azienda smentisce. Sito in down e incongruenze: tutti i dubbi sulla compagnia

LibanoTaiwanUngheria. Le indagini per ricostruire come sia stato possibile compiere l’attacco multiplo che martedì ha provocato migliaia di esplosioni multiple di cercapersone nel Paese dei Cedri, provocando al momento 12 morti e oltre 4mila feriti, disegnano un gigantesco quanto improbabile triangolo sul mappamondo. Parte dallo Stato mediorientale, dove continuano i soccorsi alle vittime delle deflagrazioni, si sposta a Taiwan, dove ha sede l’azienda che produce i dispositivi ma, dopo le precisazioni della compagnia, torna verso ovest, in Europa, precisamente a Budapest. “Non siamo stati noi a produrre i dispositivi esplosi in Libano”, fanno infatti sapere dalla Gold Apollo, la società il cui marchio appare sui device esplosi, che ha smentito, prima per bocca del proprio presidente e fondatore e poi con un comunicato ufficiale, di essere dietro all’assemblaggio, e quindi alla presunta manomissione, dei cercapersone. Chi li ha costruiti, allora? “Secondo l’accordo di cooperazione – si legge nel documento diffuso dai vertici – abbiamo autorizzato la Bac Consulting a utilizzare il nostro marchio per la vendita di prodotti in regioni designate, ma la progettazione e la produzione dei prodotti sono di esclusiva responsabilità di Bac”. L’accordo tra le due aziende, precisa poi il presidente e fondatore della società taiwanese Hsu Ching-kuang, è in vigore da tre anni: “Questa azienda ha collaborato con noi e rappresenta molti dei nostri prodotti. Volevano anche realizzare cercapersone e mi hanno chiesto se potevano usare il marchio della nostra azienda”. Una ricostruzione, però, smentita dall’azienda ungherese.

Cosa si sa sulla Bac Consulting
Non è facile tracciare un profilo preciso dell’azienda nominata dalla Gold Apollo. Accedendo al loro sito, questo risulta in manutenzione, ma attraverso degli accertamenti Ilfattoquotidiano.it ha potuto verificare che il dominio risultava attivo già nel 2007, anche se solo dall’aprile 2021 è effettivamente ricollegabile all’azienda ungherese con sede a Budapest. Il sito offre poche informazioni sulle reali specializzazioni dell’azienda: si legge che questa si occupa di consulenza da oltre dieci anni, anche se il sito ne ha solo tre, con una specializzazione in “ambiente, sviluppo e affari internazionali. Siamo un team internazionale di esperti altamente dinamico che ha come punti di forza creatività, impegno e competenza per offrire soluzioni uniche ai nostri partner”. Ricercando su Google Street View l’indirizzo indicato come sede dell’azienda, non ci si ritrova davanti a un palazzo nel centro della capitale ungherese, nemmeno una struttura adibita a uffici, ma un’anonima villetta a schiera nella periferia nord della città, con fogli di carta affissi sulla porta con i nomi di alcune aziende, tra i quali non compare però quello della Bac Consulting.

Cosa si sa sull’amministratrice delegata
Sul sito, l’unico nominativo presente è quello della persona indicata come Ceo, ossia Cristiana Bársony-Arcidiacono, ma anche su di lei le informazioni a disposizione non la inquadrano come produttrice di dispositivi di comunicazione. Sul suo profilo Linkedin risulta aver svolto consulenza per importanti organizzazioni e istituzioni internazionali, dall’Unesco alla Commissione europea, mentre dal febbraio 2019 sarebbe a capo della Bac Consulting come amministratrice delegata. Nel frattempo, dal novembre 2021 sarebbe anche EC Evaluation Expert per la Commissione europea, ma da una verifica svolta da Ilfattoquotidiano.it non risulta essere inserita nella lista dei contatti di dipendenti e consulenti dell’Unione europea. Il suo profilo Instagram, invece, è quasi esclusivamente formato da ritratti di soggetti dipinti a matita, uno dei quali compare anche sul sito di Bac Consulting.

La sede: una villetta nella periferia di Budapest
Ricercando online la foto del suo profilo Linkedin, però, questa compare anche su un altro sito di un’azienda americana, la Eden Global (che invece non è citata sul social), che si occupa sempre di consulenza “in ambito finanziario, sostenibilità, affari globali, politica, diplomazia, business intelligence, ingegneria, diritto ed economia” e presente, si legge, in 11 Paesi, principalmente in Africa, Europa e America Latina. Nella sua presentazione, Bársony-Arcidiacono si definisce “ricercatrice, climatologa al CNRS di Parigi, dottoressa in Fisica, Politica, Sostenibilità e Sviluppo aziendale. Ha lavorato per anni come responsabile delle risorse idriche presso l’Unesco e l’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. I suoi campi di competenza spaziano dalla scienza pura, all’ingegneria e all’innovazione, alla ricerca nucleare, alle energie rinnovabili, alla gestione sostenibile dei rifiuti, all’idrologia, alla modellazione delle acque sotterranee. È anche un’esperta in azioni e programmi umanitari e sociali, con vaste competenze nel settore no-profit”.

La smentita della Bac Consulting
Sentita dal giornale online ungherese Telex, proprio Cristiana Barsony-Arcidiacono ha preso le difese dell’azienda che dirige dichiarando che la Bac Consulting non ha prodotto i cercapersone esplosi ma ha svolto solo una funzione di mediazione. L’amministratrice ha confermato di aver collaborato con la società di Taiwan Gold Apollo, ma ha negato di aver prodotto i dispositivi esplosi: “Non sono stata io a fabbricare i cercapersone, sono solo una mediatrice. Credo abbiate frainteso questa cosa”.

Le indagini sulla Gold Apollo
Quella di martedì è stata una giornata complicata soprattutto per la Gold Apollo, l’azienda produttrice di Taiwan. Nelle ore in cui si cercavano di ricostruire le modalità dell’attacco in Libano, poliziotti e funzionari di Taipei entravano negli uffici dell’azienda per svolgere le prime indagini e cercare di capire quanto questa fosse direttamente coinvolta nell’accaduto. I vertici dell’azienda, come detto, hanno smentito ogni coinvolgimento affermando che “non c’era nulla in quei dispositivi che avevamo prodotto o esportato alla Bac”, ha detto Hsu notando che i cercapersone “erano completamente diversi” dai progetti originari e contenevano un chip che Gold Apollo non utilizza nei suoi dispositivi.

Su come la sua azienda sia però arrivata alla collaborazione con la Bac Consulting, l’imprenditore taiwanese ha raccontato che tre anni fa è stato avvicinato da una donna taiwanese che conosce solo come “Teresa“, la quale sosteneva di essere una rappresentante locale di una società ungherese chiamata Bac Consulting, come riporta Npr. Dopo oltre due mesi di trattative, accettò di firmare un contratto per vendere i cercapersone Gold Apollo a Bac e, inoltre, di consentire a questa azienda di utilizzare il marchio sui propri prodotti. “Era già volata diverse volte in Europa per contattare [i suoi colleghi]”, ha raccontato Hsu ricordando conversazioni sugli interessi di Bac in Africa orientale: “Ma non hanno mai menzionato il Libano”.

Hsu Ching-kuang notò anche che i loro pagamenti erano “strani”: nonostante si tratti di un’azienda ungherese, ha raccontato, i pagamenti arrivavano da un conto bancario mediorientale che era stato bloccato almeno una volta dalla loro banca a Taiwan. “È stato molto scomodo. Devi affrontare questi rischi quando fai commercio globale”, ha dichiarato. L’ultima volta che Gold Apollo ha spedito componenti a Bac è stato all’inizio di quest’anno, ha poi aggiunto l’imprenditore taiwanese.

Ilfattoquotidiano.it ha tentato di contattare i responsabili della Bac Consulting, ma al momento in cui si scrive non ha ancora ricevuto alcuna risposta, né per telefono né via mail. Lo stesso è stato fatto con la Eden Global, alla quale è stato chiesto via mail di essere messi in contatto con Bársony-Arcidiacono: anche in questo caso, non è arrivata ancora alcuna risposta.

X: @GianniRosini