L’iniziale entusiasmo per l’introduzione – per la prima volta – di una delega al Benessere animale si è presto schiantato contro il nome del designato. Sì, perché il candidato commissario è niente meno che il braccio destro di Viktor Orbán, il patriota ungherese a capo di Fidesz. Si tratta di Olivér Várhelyi, avvocato, con un lungo passato professionale tra gli uffici di Bruxelles e già commissario all’Allargamento Ue. L’irreprensibile Várhelyi – passato alla cronaca per aver dato degli “idioti” agli europarlamentari, senza accorgersi che il microfono fosse acceso – avrà anche la delega alla Salute. Sorprendente, considerando le politiche della destra ungherese.

IL COMMISSARIO “IMBESTIALITO” – Chi lo ha conosciuto, lo descrive come una persona molto preparata ma decisamente poco avvezza al dialogo. Tanto che le urla e i rimproveri rivolti al suo staff sarebbero all’ordine del giorno. Non è un caso che un anno fa da più parti si fossero levate le voci per chiederne le dimissioni: in plenaria non gradì le domande più o meno incalzanti sulla situazione balcanica e, sedutosi dopo aver risposto a un deputato, si lasciò scappare un “quanti idioti sono rimasti?”. Lo scorso maggio, un nuovo scivolone: il premier georgiano Irakli Kobakhidze lo accusò pubblicamente di averlo minacciato, poiché in una conversazione telefonica con Várhelyi, secondo la versione di Tbilisi, questi gli intimò di “stare attento”, citando l’attentato al primo ministro slovacco Robert Fico. Lo scorso ottobre, poi, regalò un pomeriggio convulso a Ursula von der Leyen, quando su X annunciò – di sua iniziativa – che la commissione Ue non avrebbe più garantito gli aiuti al popolo palestinese. Annuncio smentito dopo qualche ora.

GUERRA ALLA NATURA E AGLI ANIMALI – A sorprendere, ora, è che la stessa von der Leyen lo riproponga per affidargli Salute e Benessere animale. Várhelyi, infatti, è espressione del partito al governo ungherese, cioè di Fidesz. Nella scorsa legislatura i 12 deputati di Orbàn hanno votato sempre contro i provvedimenti a favore della natura. Sia quando facevano parte del Partito popolare europeo sia dopo, quando ne sono usciti. Nel 2020, per esempio, hanno fatto gli interessi dei cacciatori (in Ue esiste il numeroso intergruppo “Biodiversità, caccia e spazio rurale”) votando contro la direttiva che vieta l’utilizzo del piombo nei pallini da caccia all’interno o vicino alle cosiddette aree umide. Un provvedimento osteggiato tanto dalle associazioni venatorie (la FACE – Federazione europea delle associazioni per la caccia e la conservazione – fa attività di lobbying, in Ue) quanto dalle lobby delle associazioni dei produttori d’armi (AFEMS a livello europeo, ANPAM in Italia).

È successo lo stesso con la Nature Restioration Law, uno dei pilastri del Green Deal che aveva lo scopo di ripristinare una larga fetta degli habitat europei che versano in pessime condizioni (fiumi, foreste, ecosistemi marini ecc.ecc.). L’ambiziosa proposta originaria è stata fortemente indebolita nel corso della legislatura anche a causa delle pressioni del mondo venatorio e, soprattutto, di quello del mondo agricolo. Poco prima del voto finale, il Ppe ha presentato una mozione con lo scopo, di fatto, di cancellare in toto la legge. Naturalmente, tra i 312 voti a favore (324 i contrari) c’erano anche quelli degli esponenti di Fidesz, passati nel frattempo nel gruppo dei non iscritti. Stesso discorso quando il Parlamento europeo è stato chiamato a modificare la Politica agricola comune (Pac). Il nuovo documento, che contiene più deroghe e meno controlli, è stato votato a larga maggioranza, compresi gli esponenti di Fidesz. Anche qui a condizionarne l’esito si erano messi gli agricoltori, con le proteste dei trattori in tutta Europa, arrivate a bloccare per giorni il centro di Bruxelles. Una grossa fetta dei fondi della Pac è destinata a sovvenzionare i prodotti di origine animale, tra cui gli allevamenti intensivi, come denunciato dal documentario Food For Profit di Giulia Innocenzi. Una delle poche associazioni, in Italia, a contestare la candidatura di Várhelyi è l’Oipa: “L’esponente di Fidesz non sembra si sia mai particolarmente occupato delle tematiche riguardanti gli animali, la fauna selvatica e il loro benessere. Più opportuna sarebbe stata una scelta in linea con i compiti assegnati all’incarico: per esempio sarebbe stato più idoneo a tale mandato un esponente dei Verdi. Il Parlamento europeo dovrà audirlo e verificare se potrà essere all’altezza del ruolo. Auspichiamo un’attenta riflessione”.
VACCINI CINESI E OSTACOLI ALL’ABORTO – Ma anche sul fronte della salute, come anticipato, c’è poco da festeggiare. In piena emergenza pandemia da Covid-19, quando l’Unione europea cercava di mantenere un fronte comune per l’approvvigionamento dei vaccini, l’Ungheria si staccò dal gruppo e fece da sé. Come? Firmando contratti con la Cina e la Russia che avevano messo in commercio vaccini – Sputnik e Sinopharm – non riconosciuti dalla comunità scientifica europea (e dunque dall’Ue). E per rimediare alla scarsa efficacia del vaccino cinese, Budapest ricorse – tra gli altri – a Pfizer. Peraltro, il Paese ebbe un tasso di mortalità record (notizia passata sotto traccia per via della crescente difficoltà dei media non allineati al governo di accedere alle informazioni).

In questo contesto vanno ricordate inoltre le politiche anti-abortiste del governo di Orbán. L’accesso all’aborto è stato via via ostacolato. Ora è legale fino a dodici settimane di gravidanza, ma per potervi ricorrere è obbligatorio consultare un assistente sociale e ascoltare il battito cardiaco del feto prima di scegliere di praticare l’intervento.

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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