Otto mesi di reclusione sono stati chiesti dalla Procura di Brescia nei confronti dei pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, accusati di rifiuto di atti di ufficio per non aver depositato atti “in favore delle difese” degli imputati, tutti assolti definitivamente, nel processo milanese sul caso Eni Nigeria. Secondo i pm bresciani Francesco Milanesi e Donato Greco, in aula assieme al procuratore Francesco Prete, De Pasquale e Spadaro, hanno “scelto di non adempiere agli obblighi che la legge impone loro” , ossia non di “selezionare” gli elementi di prova ma depositarli tutti alle parti processuali. Invece “con il loro comportamento omissivo”, “nascondendo” atti favorevoli agli imputati, avrebbero leso il diritto di difesa. “E il fatto che entrambi esercitino ancora le proprie funzioni e in assenza di critica del proprio operato, fa sì che la pena non possa essere sospesa perché c’è la possibilità che le condotte possano essere reiterate”. Mentre invece, al collegio presieduto dal giudice Roberto Spanò è stato chiesto di riconoscere le attenuanti generiche.

Nella prima parte della requisitoria il pm Greco ha spiegato che il due pm di Milano avrebbero “nascosto le prove che dimostravano l’inattendibilità” dell’ex manager, poi licenziato da Eni, Vincenzo Armanna, da loro ritenuto “l’architrave” nel processo sulla vicenda nigeriana. E questo nonostante avessero ricevuto, con una mail del febbraio 2021, “espressa sollecitazione” al deposito dal collega Paolo Storari, il quale aveva acquisito quegli elementi nell’ambito dell’indagine sul cosiddetto ‘falso complottò. Elementi definiti da De Pasquale “ciarpame”, “polpettificio” e non ritenuti invece, a dire della Procura di Brescia, prove “autonome”. “Immaginiamo – ha sottolineato il pm Greco – come era importante per le difese sapere che Armanna aveva manipolato le chat, pagato testimoni e conoscere il contenuto del video Bigotti” in cui è ripreso un incontro avvenuto a Roma tre anni prima nel quale Armanna aveva espresso propositi ritorsivi nei confronti di chi guidava il gruppo di San Donato. “Tutto ciò – ha sottolineato – ci dimostra il vulnus al diritto di difesa degli imputati che sarebbe stato commesso dai due imputati con il loro comportamento omissivo”.

Il pm Milanesi ha sottolineato, poi, l’atteggiamento dei due pubblici ministeri imputati – i quali si sarebbero vantati di essere gli “unici con una conoscenza enciclopedica sul processo Eni Nigeria e quindi i soli in grado di valutare gli elementi portati da altri soggetti” – nei confronti degli esiti degli accertamenti di Storari: “Un senso di disagio, di fastidio in quanto erano una minaccia per lo stesso processo. Nei messaggi scambiati tra De Pasquale e Spadaro, si dice che quegli atti non si dovevano depositare al Tribunale”. Tribunale che avrebbe corso il rischio di “essere” travolto attraverso le parole di Amara da far, invece, “entrare ad ogni costo” nel dibattimento sul caso Nigeria “anche se l’effetto avrebbe potuto essere l’astensione o ricusazione del presidente del Tribunale o una lesione del suo prestigio”. Si è trattato di uno “warning” che non trova “spiegazioni alternative” se non “neutralizzare” il presidente del collegio Marco Tremolada.

Dopo la requisitoria la parola è passata alla parti civili: l’avvocato Pasquale Annicchiarico, legale di Gianfranco Falcioni, dopo la sua ricostruzione, ha concluso chiedendo al collegio “di prendere la decisione giusta a nostro favore” mentre l’avvocato Eugenio Moretti, per la Presidenza del Consiglio e il ministero dell’interno ha chiesto l’assoluzione con qualsiasi formula, ritenendo l’insussistenza del reato e comunque la mancanza di qualsiasi danno all’amministrazione della giustizia.

Nessun “obbligo giuridico inderogabile e indifferibile di deposito” degli atti raccolti da “terzi” in merito all’”attendibilità” di un testimone “dichiarante” e non per dimostrare l’”innocenza” degli imputati del processo sul caso Eni Nigeria tutti poi assolti in via definitiva ha sostenuto, durante la sua arringa, Massimo Dinoia, difensore dei pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro accusati a Brescia di rifiuto di atti d’ufficio. Il legale, che ha omesso di parlare circa l’attendibilità del pm Paolo Storari (nel febbraio del 2021 aveva trasmesso gli esiti di alcuni accertamenti nell’ambito dell’inchiesta sul ‘cosiddetto falso complottò su Vincenzo Armanna, ex manager del gruppo e grande accusatore dei suoi vertici), ha voluto affrontare la vicenda sotto il profilo giuridico, “di cui ben poco finora ho sentito”. E così ha contestato il capo di imputazione formulato dai pm bresciani, per cercare di convincere il collegio, presieduto dal giudice Roberto Spanò, che “non c’è alcuna norma che imponga in via immediata e diretta il deposito: le norme sono generiche e non contengono indicazioni specifiche ma enunciazioni di principi”. A ciò si aggiunge il fatto che l’obbligo di raccogliere le prove a discarico spetta al pm in fase di indagini per una questione di economia processuale e che il pm in dibattimento è una parte ha il compito di dimostrare la sua ipotesi accusatoria.

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