La Federal Reserve, la banca centrale statunitense, ha ridotto il costo del denaro di 0,50 punti base. Si tratta del primo taglio deciso dalla Fed dal 2020 e porta i tassi in una forchetta tra 4,74 e 5%. Era l’ultima occasione per tagliare i tassi prima delle elezioni presidenziali del prossimo 4 novembre. Tecnicamente questo tasso riguarda gli interessi che le banche che hanno riserve presso la Fed possono prestarsi questi soldi tra di loro ma, a cascata, ha ricadute su qualsiasi tasso, dai mutui alle obbligazioni.

La Fed prevede che la disoccupazione si attesti al 4,4% alla fine del 2024, mentre l’inflazione è prevista scendere al 2,1% alla fine del 2025. I rischi per l’occupazione e l’inflazione sono più bilanciati, ha detto la banca centrale, sottolineando il suo forte impegno alla massima occupazione e a un’inflazione al 2%. Cosa insolita, la decisione della Fed di tagliare i tassi di mezzo punto non è stata unanime. In 11 hanno votato a favore, mentre la componente del board Michelle Bowman ha votato contro perché preferiva una taglio dello 0,25%. La Fed prevede, comunque, un calo dei tassi di un altro mezzo punto fino alla fine dell’anno.

“L’economia americana è solida”, ha detto il governatore Jerome Powell al termine della riunione a ha aggiunto che la Fed si muoverà “velocemente o lentamente” a seconda delle necessità. Le decisioni saranno prese riunione per riunione. “Nulla di politico è discusso durante le riunioni delle Fed. le decisioni sono basate solo sull’economia” ha infine voluto puntualizzare il governatore. “Il forte taglio dei tassi è un segno dei “progressi” compiuti dall’economia statunitense”, commenta poco dopo la Casa Bianca.

La sforbiciata era stata preannunciata da Powell lo scorso 23 agosto, qualche residua incertezza riguardava l’entità dell’intervento. La scelta della Fed è risultata più netta del previsto. Un costo del danaro più basso ha l’effetto di sostenere la crescita economica e quindi l’occupazione ma può anche contribuire ad alimentare l’inflazione.

Le banche centrali devono quindi soppesare pro e contro di qualsiasi mossa che variano in base alle circostanze. L’inflazione statunitense è attualmente al 2,5%, non lontano da quel 2% considerato valore “ottimale”. Relativamente contenuta anche la disoccupazione che si attesta al 4,2%. La riduzione del costo del denaro attuata negli Stati Uniti permetterà alle altre grandi banche centrali, Bce in testa, di fare altrettanto. Un differenziale eccessivo tra il costo del denaro negli Usa e in Europa causerebbe altrimenti disequilibri nel rapporto euro-dollaro con ricadute sui commerci tra i due continenti.

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