Cinema

La nuova legge sul cinema – Gli sprechi del tax credit e i nuovi criteri. Ecco perché è odiata dai grandi nomi ma ci perderanno i piccoli

di Davide Turrini
La nuova legge sul cinema – Gli sprechi del tax credit e i nuovi criteri. Ecco perché è odiata dai grandi nomi ma ci perderanno i piccoli

“Legge pessima”, “vendetta ideologica” o intervento necessario? Del nuovo famigerato decreto legge sul cinema, ultimo atto formale dell’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, in nemmeno 15 giorni dalla sua pubblicazione si è detto tutto e spesso il contrario di tutto. Da un lato le posizioni critiche riassumibili attorno a Nanni Moretti, che ha invitato i colleghi “produttori e registi” dal palco del Festival di Venezia ad essere “più reattivi sulla nuova pessima legge sul cinema”, e l’attore Pietro Sermonti che ha invece sottolineato come in questa legge “non ci sia nulla di lucido ma solo una feroce vendetta ideologica”. Dall’altro c’è chi tra esperti del settore e della materia a livello accademico invita a riflettere su come la riforma Sangiuliano fosse materialmente “necessaria” per mettere mano ad un “eccesso produttivo” di film con contributi sia autonomi che selettivi dello stato.

Mai uscito in sala quasi il 50% di titoli finanziati con tax credit – Il dato incontrovertibile da cui sono partiti il duo Borgonzoni-Sangiuliano è quello dell’uscita nelle sale cinematografiche italiane dei film che hanno fatto richiesta del credito d’imposta/tax credit – criterio introdotto dall’ultima legge Franceschini del 2017. Su 1354 opere che tra il 2019 e il 2023 hanno chiesto il tax credit 756 sono uscite in sala, mentre 598 non hanno mai avuto proiezioni su grande schermo. Come spiegano diversi esperti, che vogliono rimanere anonimi, al fattoquotidiano.it: si tratta di un “eccesso produttivo che impatta sulla finanza pubblica” e che crea una “distanza tra l’offerta e l’assorbimento della domanda”. In pratica se c’è da decifrare una ratio del decreto cinema voluto dal governo Meloni è quella di “alzare l’asticella” e “selezionare in qualche modo opere in grado di arrivare in sala, non necessariamente quelle più commerciali, ma quelle proposte da veri produttori”. Anche perché se c’è un problema nella precedente legge Franceschini, e che ancora non si sa come verrà sviluppata con le nuove norme, sarà la funzione di controllo “fino ad oggi sostanzialmente mancante”, sui progetti economico-finanziari e sui soggetti che ne fanno richiesta.

40% di investimento privato anticipato, accordo con i distributori e numero obbligatorio di proiezioni in sala – Il nuovo decreto sul cinema ha un architrave strutturale basato su quelli che grosso modo potremmo definire tre paletti minimi per l’accesso alla richiesta del tax credit: il produttore deve essere in grado di certificare la copertura finanziaria con risorse private di almeno il 40% del costo di produzione del film; deve essere presentato un accordo vincolante con uno dei primi venti distributori italiani che prevede costi minimi di promozione del film in sala; nell’accordo è obbligatorio un numero minimo di proiezioni in sala e in determinati slot orari. Qui va aggiunta un’ulteriore distinzione dovuta alla nuova legge. D’ora in avanti esisteranno, infatti, tre “scaglioni” produttivi cinematografici: quella dei film con budget oltre i 3 milioni e mezzo di euro; quelli tra 3 milioni e mezzo e un milione e mezzo; quelli sotto il milione e mezzo. I primi dovranno entro quattro settimane dalla prima uscita, garantire 2.100 spettacoli in almeno 100 sale con una proiezione almeno nella fascia 18,30-21,30. Per quelli della seconda fascia entro quattro settimane dalla prima uscita dovranno essere garantiti 980 spettacoli in almeno 70 sale con una proiezione almeno nella fascia 18,30-21,30 10. Per i film sotto il milione e mezzo le proiezioni obbligatorie sono 240 in tre mesi.

Un tetto di spesa per star/registi oltre il quale il tax credit non scatta – È l’aspetto che più ha fatto arrabbiare i grandi nomi del cinema italiano, a partire dal regista Gabriele Muccino che in un lungo post su Instagram ha criticato la legge Sangiuliano. Per i cosiddetti costi di produzione “sopra la linea” – regia, sceneggiatura e parte attoriale – vengono enunciati dei tetti di spesa oltre i quali non viene riconosciuto il tax credit. Quindi una produzione rimane ovviamente libera di destinare una quantità del proprio budget ai costi sopra la linea, ma con la nuova legge verrà applicato un limite massimo previsto nel compenso oltre il quale il credito d’imposta non scatterà. Il ministero ha spiegato che “la disposizione si riferisce al compenso massimo onnicomprensivo attribuito al soggetto per ogni prestazione artistica resa nella medesima opera (…) Se così non fosse, si rischierebbe una disparità di trattamento per coloro che, grazie alle proprie doti artistiche, riescono a ricoprire più ruoli in un’unica opera”.

I piccoli produttori faranno fatica, ma a sprecare sono stati anche tanti grandi produttori – “Serviva riformare la legge precedente perché è vero: sono stati fatti molti film tanto per essere fatti, o con budget gonfiati; ma la colpa non è principalmente dei piccoli produttori che lavorano a opere con budget ridotto, sono stati molti grandi produttori ad essersi comportati così”, spiega Simonetta Amenta, titolare di Eurofilm, al FattoQuotidiano.it. Amenta che è soprattutto presidente di AGICI (Associazione Generale Industria Cine-Audiovisive Indipendenti – dove gli associati sono italiani e indipendenti cioè non legati a gruppi aziendali) è molto chiara nelle critiche alla legge cinema: “Abbiamo insistito (come Gianluca Curti di Cna ndr – link) affinché nel tax credit venissero inseriti i cap, i tetti di spesa per le grandi aziende e i grandi gruppi aziendali, che sono stati tolti. Quando nel mercato ci sono grosse turbolenze i piccoli produttori andrebbero aiutati di più rispetto alle grandi società internazionali. Per noi l’ “eccezione culturale” di un film rimane comunque un punto cruciale. Le nostre opere raccontano l’Italia nel mondo, agli italiani, ai giovani. Definire un film soltanto dai risultati al box office è limitante”.

Amenta sottolinea come i grandi problemi si presenteranno per i film sotto il milione e mezzo di budget, a partire dalla copertura preventiva del 40% da parte di capitali privati (“rimane una cifra altissima e questa percentuale ovviamente agevola le grandi società”), passando dal contratto preventivo con un distributore: “È nel nostro interesse non rubare soldi pubblici, tutt’altro. Noi produttori quando facciamo un film siamo i primi a batterci con il distributore per cercare di fare stare il film in sala il più possibile, non vogliamo finti distributori. Solo che venti società sono poche. Anche se la lista non è ancora stata pubblicata abbiamo intuito che non sono presenti alcuni distributori che lavorano già con noi”.

Amenta (AGICI): “Via il contributo selettivo per i film sotto il milione e mezzo” – Infine, per i piccoli film sotto il milione e mezzo si materializzerà il problema del contributo selettivo: “Per far accedere queste piccole opere al tax credit bisognerà avere il contributo selettivo e qui si apre il problema delle nomine della commissione di selezionatori scelta da Sangiuliano. Quale criterio adotterà? Ci sarà una necessaria rotazione tra i membri? Finalmente vediamo che i selezionatori avranno uno stipendio. Il lavoro è tanto e vanno retribuiti, ma vorremmo persone competenti del nostro settore sia per il piano finanziario che per quello creativo. Se non c’è una ricetta di buona riuscita per noi, figuriamoci se la conoscono le commissioni”. Amenta conclude chiedendo al neo ministro Giuli la possibilità di togliere il passaggio del fondo selettivo per i film di eccezione culturale con un budget sotto il milione e mezzo: “Sono quelli che più rischiano e sono quelli finanziati da piccoli produttori. Spesso è cinema di ricerca e sperimentazione girato da quei nomi che in futuro saranno i grossi autori di mercato”.

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