Intervista all'ex leader dello Scottish National Party, artefice del percorso che portò alla consultazione che però finì con la vittoria dei no. Ora - dopo un po' di guai con la giustizia, da cui è uscito senza conseguenze - l sua corsa riparte alla guida del piccolo partito Alba: "Basta una buona campagna elettorale e possiamo cambiare la storia"
Il 18 settembre 2014 gli scozzesi andavano alle urne per votare al referendum sull’indipendenza dal governo di Londra (poi bocciata dal 55% dei votanti). Dieci anni dopo incontriamo l’artefice di quel momento politico, Alex Salmond, due volte capo di governo, primo leader dello Scottish National Party ad assumere la carica di primo ministro e attuale leader di Alba, il partito pro-indipendenza. Salmond è l’uomo che pensa che “se ce l’ha fatta una volta a creare quell’opportunità allora potrà farcela ancora” e non si fermerà neanche di fronte ad un no di Londra ad un nuovo referendum.
Arriva alla conferenza stampa della Foreign Press Association solido e taurino, un politico di razza. Di quelli che non cedono quando, microfono puntato al viso, chiediamo se gli scandali sessuali che l’hanno travolto nel 2018 (e da cui è stato assolto), ed il decennio di vicende giudiziarie da cui è appena uscito, abbiano intaccato la credibilità sua e del progetto di una Scozia indipendente che persegue da una vita. “Nient’affatto: non hanno avuto nessun effetto, soprattutto ora che ho vinto sia in sede penale che civile” risponde sicuro prima di ributtare la palla sui nazionalisti dello Snp, con un misto di fierezza per aver fatto segnare al partito vittorie storiche ma forse anche con risentimento per averlo lasciato in mano alla sua vice, Nicola Sturgeon: “Il declino del partito è dovuto interamente dagli errori che hanno fatto nel passato, alle urne sono stati puniti per aver tassato troppo gli scozzesi fornendo pochi servizi pubblici. Negli ultimi cinque anni hanno perso la reputazione per competenza e identità“.
La Bbc ha appena trasmesso un documentario in due parti sullo sfascio di quella che definisce una partnership formidabile, tra Salmond e la ex leader Nicola Sturgeon, con cui ha condiviso ambizioni, vittorie politiche e un’amicizia finita in astio tra attacchi reciproci: di aver complottato per farlo andare in prigione mentre lei si è sempre difesa dicendo di aver agito con il suo governo per evitare la collusione nei reati a sfondo sessuale. Ora che anche la ex first minister è fuori gioco dopo lo scandalo sui finanziamenti al partito e la condanna per peculato del marito, lo Snp è ridotto ad un fantasma politico travolto alle ultime elezioni dall’avanzata dei laburisti.
“Per riconquistare il rispetto, un governo deve agire in modo efficiente e competente e per ritrovare l’impeto verso l’indipendenza bisogna essere in grado di immaginare e mettere in campo una ‘visione di indipendenza’. Quando ho portato l’Snp alla vittoria senza precedenti, il sostegno per l’indipendenza era sotto al 30% ma adesso siamo al 50%” dice Salmond, ora alla guida di Alba – il nome della Scozia in gaelico – e autore del libro emblematico Il sogno non deve morire mai per il quale ha già ripensato un titolo che aggiunga la parentesi “(e sarà realizzato ad un certo punto)”.
Alex Salmond, come si è arrivati alla concessione del referendum di 10 anni fa che sembrava impossibile?
La Scozia è stata indipendente per migliaia di anni prima del Trattato per l’Unione del 1707 e il movimento politico ha almeno 100 anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Quando io sono diventato un deputato dello Snp al Parlamento di Westminster nel 1987 mi sono dato tre obiettivi: avere un Parlamento scozzese, ottenere la maggioranza di governo e poi trovare un modo per avere un referendum sull’indipendenza della Scozia. All’epoca i laburisti e i liberali erano la coalizione di governo e noi dello Snpo eravamo all’opposizione ma ho sempre pensato che nelle democrazie normalmente ad un certo punto le opposizioni diventano la forza di maggioranza. Di fatto questo è successo nel 2007 quando per la prima volta ho portato l’Snp al governo (vincendo sui laburisti di un solo seggio) e sono diventato primo ministro. In quegli anni in cui il sostegno per l’indipendenza era del 25%, ai minimi storici, ho pensato che l’unico modo di rinforzare questo appetito fosse dimostrare che eravamo competenti per guidare un parlamento devoluto. Aver ottenuto una vittoria a valanga alle consultazioni nel 2011 ha forzato il governo di Londra a concedere l’opportunità di un referendum con l’accordo di Edimburgo, siglato da me e dall’allora premier David Cameron.
E perché poi avete avuto un no come risposta al quesito sull’indipendenza?
Quando ho firmato l’accordo con Cameron il supporto all’indipendenza era circa del 28% ma arrivati all’estate del 2014 i favorevoli al sì erano il 40% e abbiamo cominciato una campagna, partecipata anche da Sean Connery, che ricevette un grosso impulso dai Giochi del Commonwealth che si disputavano in Scozia. L’atmosfera era bellissima e in un sondaggio del Sunday Times per la prima volta i sì passarono in vantaggio. Questo mandò nel panico Londra e David Cameron telefonò a Obama, Merkel e Putin per chiedere aiuto ma quando gli fu risposto che ‘non erano affari loro’ allora lui e gli altri leader dell’opposizione a Westminster vennero in Scozia per fare campagna presentando la cosiddetta “Promessa” ovvero che avrebbero concesso tutti i poteri che volevano i nazionalisti in cambio di un no, che poi ha vinto.
Ora su che base ritenta l’impresa?
All’indomani della sconfitta del referendum, il mio sentito discorso di dimissioni ebbe l’effetto di smuovere drammaticamente l’impulso verso il sì ed il partito dello Snp vinse poi una stragrande maggioranza in Parlamento. Gli ultimi sondaggi parlano di un 50% di scozzesi che ora sostengono il distacco da Londra. L’ultimo decennio è stato deludente, la Scozia ha dovuto accettare la Brexit contro il proprio volere, il partito dello Snp non ha raggiunto l’obiettivo di un secondo referendum e ora è stato massacrato alle ultime elezioni tornando indietro agli anni Settanta. Ma il sostegno del Paese alla causa dell’indipendenza è alto, più alto anche del 30% registrato nel 2011 quando da leader dello Snp vinsi quasi il 50% di voti alle elezioni ed il partito era forte. Ciò che importa quindi è che il Paese senta di volere l’indipendenza, il “mobilio politico” si può spostare perché i partiti devono recepire il volere degli elettori.
Allora, dal sogno alla realtà: qual è la strategia concreta di Alba?
Per portare avanti la causa dell’indipendenza della Scozia occorre che ci sia una maggioranza di indipendentisti al parlamento scozzese. Noi siamo disposti a mettere da parte le nostre differenze e personalità per raggiungere la maggioranza insieme allo Snp. L’unica ipotesi plausibile per passare in maggioranza però è che alle elezioni del 2026 l’ Snp mantenga 40 dei suoi attuali seggi e Alba conquisti il 15% dei voti. Sembra un grosso balzo per noi ma pensiamo a quello che successo al Reform Party di Farage, con cui noi non abbiamo niente in comune ma mostra che con una buona campagna elettorale sia possibile fare una rimonta nei consensi. E questo è quello che speriamo di fare nei prossimi 18 mesi.
Sì ma, indipendenza a parte, come pensate di conquistare il voto degli elettori?
L’approccio di Alba è quello di adottare politiche allettanti per far ripartire la Scozia in particolare sul fronte della casa che è in una grossa crisi e poi riformare il sistema dell’educazione secondaria raddoppiando il numero di studenti che entrano nelle nostre università. Quello che conta è trovare un messaggio che ispiri e mobiliti le persone e Alba cercherà di dare agli elettori qualcosa che valga la pena votare. Il 2026 sarà un’elezione cruciale se riusciremo ad avere una svolta e raggiungere il 50% di supporto per l’indipendenza in parlamento allora potranno cambiare tante cose.
Cosa vi fa pensare che il governo laburista di Keir Starmer vi concederà il secondo referendum sull’indipendenza?
L’indipendenza non arriverà necessariamente attraverso un referendum sull’indipendenza ma con un test democratico. Ho passato 25 anni in Parlamento e so cosa possa funzionare o meno e sicuramente non andrei a chiedere il permesso alla Corte Suprema. Se Westminster e i laburisti non ci concederanno un altro referendum ci sono varie opzioni che possiamo mettere in campo, per esempio potremmo indire un referendum non direttamente sul quesito dell’indipendenza ma sul potere del Parlamento scozzese di dichiarare un referendum sull’indipendenza. Un quesito l’espansione dei poteri di Holyrood per cambiare la Costituzione non solo rientrerebbe nella nostra competenza ma sicuramente sarebbe un elemento di forte pressione su Westminster. Avremmo usato queste alternative se Cameron non ci avesse concesso il referendum del 2014. Il Parlamento scozzese al momento ha molti poteri e abilità di legiferare, agire indipendentemente sulla Costituzione è una mossa de facto verso l’indipendenza.
E sul fronte europeo come risolverete il problema Brexit?
Se la Scozia fosse diventata indipendente 10 anni fa probabilmente saremmo potuti rimanere ancora membri della Ue anche se il resto del Regno Unito ha votato per la Brexit 18 mesi dopo. Anche con tutta l’amicizia, il supporto e le affinità con l’Europa dobbiamo riconoscere che rientrare nell’Unione Europea, ora che ne siamo fuori, necessita di molto tempo, cinque anni anche con vento favorevole. Ma c’è una organizzazione per la quale bastano solo poche settimane e questa è l’Efta (European Free Trade Association). Pensiamo che la mossa giusta per la Scozia almeno inizialmente, sia fare domanda per entrare lì e attraverso questa entrare poi nel mercato unico.
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Nella foto in alto | L’ex premier scozzese e attuale leader di Alba Alex Salmond e l’attuale primo ministro e leader dello Scottish National Party John Swinney