Dopo i casi dei giudici Apostolico e Cupri che per primi, un anno fa, disapplicarono le norme sulle cosiddette procedure accelerate in frontiera introdotte dal governo col dl Cutro, il tribunale di Catania torna a dare dispiaceri all’esecutivo che intanto annuncia la prossima apertura dei centri in Albania. E se nelle ordinanze del 2023, tra l’altro, era messa in discussione la compatibilità delle nuove norme con le direttive europee, tanto che il governo impugnò le decisioni di fronte alla Cassazione, salvo tornare sui suoi passi modificando la sua stessa legge, le due nuove ordinanze emesse a Catania mettono addirittura in discussione la lista dei Paesi di origine considerati sicuri aggiornata con decreto interministeriale lo scorso 7 maggio. Una nuova grana, visto che proprio la provenienza da Paesi considerati sicuri deciderà chi tra i migranti raccolti in mare da navi militari italiane potrà essere portato nei centri in Albania secondo il protocollo siglato l’anno scorso da Roma e Tirana.
Una delle due ordinanze, emessa il 17 settembre, porta la firma del presidente della sezione specializzata in materia di protezione internazionale, Massimo Escher. Il caso è quello di un cittadino tunisino sbarcato a Lampedusa, dove lo stesso ha fatto richiesta di protezione. Come già nelle ordinanze di un anno fa, anche in quella del presidente Escher si mette in discussione la possibilità di trattenere chi ha fatto sì domanda in frontiera, ma in luogo diverso da quello in cui la Questura chiede di trattenerlo ai fini dell’esame accelerato della richiesta di protezione, il centro di Pozzallo nel ragusano. Né vale la deroga applicabile in caso di un elevato numero di domande di protezione alla frontiera che renderebbero impossibile l’esame delle richieste perché, si legge nell’ordinanza, nel merito “nulla è allegato”. Una questione nella quale le procedure accelerate sono già inciampate. Ma c’è di più e in questo caso le valutazioni del magistrato hanno portata generale, perché toccano il principio secondo il quale chi proviene da uno dei Paesi designati sicuri per decreto ha maggiore probabilità di vedere respinta la propria domanda, che può dunque essere sottoposta a esame accelerato in frontiera, motivando così il trattenimento del richiedente.
La provenienza “si pone come elemento essenziale e prioritario nell’apprezzamento della legittimità del trattenimento”, evidenzia il giudice. Che a questo punto prende in esame le ragioni che hanno portato il governo a confermare la Tunisia nella lista dei Paesi sicuri, dovendo però rilevare che a smontarle sono le stesse informazioni allegate al decreto. Stante la normativa europea recepita dalla legge italiana, il giudice decide così di disapplicare il decreto interministeriale che ha aggiornato la lista dei Paesi sicuri e di non convalidare il trattenimento del cittadino tunisino. “Non potendo in alcun modo – scrive – definirsi paese che tutela dalle persecuzioni i dissidenti e le minoranze all’interno di un quadro democratico, un paese che, come la Tunisia, per valutazioni richiamate dallo stesso ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale: non rispetta il divieto di arresti e detenzioni arbitrarie; pratica arresti con prove inesistenti; applica misure cautelari senza il vaglio giudiziario; chiude network televisivi contrari al governo; reprime la liberà di associazione con detenzione arbitrarie di manifestanti; discrimina i diritti LGBT perseguendo gli omosessuali con possibilità di condanne a pene detentive fino a tre anni; tollera la violenza diffusa sulle donne, non combattendo adeguatamente il fenomeno dello stupro, donne discriminate in maniera diffusa e sistemica; consente la tortura nelle stazioni di polizie e nelle carceri; non offre sufficienti garanzie sul fatto che richiedenti asilo (migranti sub sahariani) non siano respinti ancorché rientranti nel novero dei richiedenti rifugio”.
Così, dopo la disapplicazione del dl Cutro rispetto al quale, secondo molti giuristi, permangono questioni di incompatibilità con il diritto dell’Unione europea, il governo si vede bocciare anche l’aggiornamento col quale ha allargato la lista dei Paesi sicuri nella speranza di arginare l’ingresso delle nazionalità più presenti tra i migranti che sbarcano sulle nostre coste, trattenendoli per il tempo dell’esame delle domande così da poterli poi rimpatriare, in caso di diniego, senza il rischio che si rendano irreperibili. Ma soprattutto con l’intenzione di portarli in Albania. Tuttavia le norme dicono che una persona non può essere privata della libertà personale per il solo fatto di essere un richiedente, e se le altre motivazioni non reggono, come continuano a dire la maggior parte delle ordinanze finora (dieci su dieci nel caso del tribunale di Catania), quando si tratterà di trattenere le persone in Albania le cose potrebbero complicarsi, moltiplicando anche le spese. Oltre ai tunisini, terza nazionalità per numero di sbarchi nel 2024, in Albania dovrebbero andare anche gli egiziani, quarti per sbarchi e anche loro provenienti da un Paese sicuro, almeno secondo il governo. Ma non per il tribunale di Catania, che nell’ordinanza della giudice Emmanuela Raciti non convalida il trattenimento perché il cittadino egiziano in esame ha manifestato “gravi motivi per ritenere che quel Paese non sia sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso si trova, allegando di aver subito in Egitto un’ingiusta condanna alla pena detentiva di tre anni, per un fatto che egli non avrebbe commesso”. E tanto basterebbe per evitargli la procedura accelerata ed essere sottoposto a quella ordinaria. Tuttavia, anche in assenza di questi “gravi motivi”, l’ordinanza avrebbe potuto approdare allo stesso risultato. Richiamando alcuni rinvii pregiudiziali pendenti davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea in merito alla possibilità di designare Paesi sicuri escludendone però alcune aree o alcune categorie di persone, la giudice evidenzia infatti come le informazioni sul Paese rivelino l’esistenza “di serie criticità connesse al rispetto dei diritti umani, che persistono in maniera generale e costante ed investono non solo ampie e indefinite categorie di persone (come dimostra l’inserimento tra le eccezioni della categoria dei “difensori dei diritti umani”, che intercetta l’esistenza di violazioni dei diritti di altri soggetti per la cui tutela agiscono), ma anche il nucleo stesso delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico, e che dovrebbe costituire la cornice di riferimento in cui si inserisce la nozione di Paese di Sicuro”.