Per difendersi dall’accusa di “sequestro di persona” a danno di 147 migranti a bordo della Open Arms avanzata dai pm di Palermo, Salvini ha diffuso un video di 4 minuti, prima sui social e poi su quella che è ormai la succursale mediatica dell’ultradestra italiana, Rai News.
Salvini fa professione del solito vittimismo dell’ultradestra piagnona, che agita complotti un giorno sì e l’altro pure. Ma lui, si sa, ha postura da vero condottiero. Ed eccolo lì a dirsi sotto processo perché “colpevole di aver difeso l’Italia”. Da 147 persone allo stremo delle forze, dopo giorni di traversata in mare e chissà quanto tempo per raggiungere le coste libiche. Questo Salvini non lo dice, perché farebbe un po’ la figura del fesso. E lui certo non lo è.
C’è di più, però, nel video. Non è solo arringa difensiva vittimista né mero attacco ai giudici.
Salvini tratteggia uno scenario caro all’ultradestra: l’Italia vittima di una minaccia esistenziale. In quei giorni del 2019 rischiavamo l’invasione dei migranti e lui, investito dal popolo, difendeva i sacri confini della patria, secondo quanto prescritto dall’articolo 52 della Costituzione italiana (che in realtà si riferisce a invasione militare, ma poco cambia per la propaganda salviniana).
È un discorso – questo sì – pericoloso. La persona migrante non è più semplicemente il “clandestino”, ma assume i contorni più inquietanti del “nemico”. La sua “invasione” è più insidiosa di quella di un esercito in armi, perché mira nel medio-lungo periodo all’annullamento dell’italianità, dell’anima, delle tradizioni, dei costumi, della storia di un popolo. Salvini parla la lingua del guerriero dello scontro di civiltà. È la cornice ideologica in cui si inserisce non solo il suo video, ma il programma politico dell’ultradestra. E sulla cui base si costruiscono le identità politiche.
Questa battaglia ideologica l’ultradestra la imbraccia già da tempo. Il 16 settembre, in merito a un’altra vicenda, Il Giornale, fu quotidiano berlusconiano oggi del parlamentate leghista e proprietario di cliniche private Angelucci, titolava: “Toghe allineate alle ong di sinistra: ecco la ‘guerriglia’ pro-invasione”. Invasione, sostituzione etnica, pericolo esiziale per la nostra società. È il mantra ripetuto a tutte le ore dal potere mediatico e politico dell’ultradestra.
Il pericolo, però, non si ferma qui. La cornice ideologica dei Meloni e Salvini è sempre più propria anche di altri attori politici e mediatici. Quand’erano al governo insieme, ad esempio, il Movimento 5 Stelle non ha fatto nulla per invertire la direzione. Anzi. Era l’epoca delle ong “taxi del mare”. Espressione coniata nell’aprile 2017 dal leader 5 stelle Luigi Di Maio. A gennaio 2019, l’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Toninelli ad Agorà rivendicava che “se non c’era il sottoscritto, la Lega non faceva niente”, intestandosi il merito di impedire ai migranti di sbarcare in Italia. “È grazie al buon lavoro di due forze politiche chiare, coerenti, fatto insieme, che si portano a casa i risultati”.
Il 18 febbraio 2019 il M5S consultò la sua base online, sulla base di un quesito chiaramente orientato: “Il ritardo dello sbarco della nave Diciotti, per redistribuire i migranti nei vari Paesi europei, è avvenuto per la tutela di un interesse dello Stato?”. La base degli iscritti al M5S votò “sì” al 60%, spinta anche dal parere favorevole di Conte, Di Maio e Toninelli. Così fu negata l’autorizzazione a procedere e Salvini poté godere di quell’immunità parlamentare di cui i 5 stelle dicevano di volersi sbarazzare. Evidentemente non per gli (all’epoca) amici.
Dopo un anno, nel 2020, il M5S in aula votò nel modo opposto. E i suoi “sì” furono determinanti per aprire il processo contro Salvini per la vicenda Open Arms. Era stata forse diversa la condotta di Salvini nei due casi in questione? No. A cambiare era stato il governo. Nel 2019 era ancora in piedi quello giallo-verde; nel 2020 era caduto, sostituito dal Conte 2.
Nell’ultimo anno, la presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen, spacciata per destra moderata, da Lampedusa gridava “chi entra in Europa lo decidiamo noi” e, come una Meloni qualsiasi, sosteneva la necessità di rafforzare controllo aereo e navale nel Mediterraneo e Frontex, per alzare ulteriormente i muri della Fortezza Europa. Il primo ministro socialdemocratico Olaf Scholz ha dichiarato che la Germania deve effettuare “deportazioni su larga scala” dei migranti. Seguito a ruota dall’omologo spagnolo, il “socialista” Pedro Sanchez che, in un viaggio in Senegal, ha asserito che “è imprescindibile il ritorno (la deportazione? NdR) di chi è arrivato in Spagna in maniera irregolare”.
Infine Starmer, nuova icona di democratici e “socialisti” europei, il 16 settembre è stato a Roma per incontrare Giorgia Meloni. Tra i temi all’ordine del giorno, ha palesato la volontà di discutere di “immigrazione e del successo dell’Italia nel combattere gli arrivi illegali”. Un bell’assist a Meloni, uno schiaffo in faccia alle vite di migliaia e migliaia di persone cui il governo italiano ha reso la vita impossibile. Affermando poi che “l’emergenza immigrazione può essere risolta solo lavorando insieme”, Starmer non fa altro che rinforzare la cornice ideologica propria dell’ultradestra e che considera i fenomeni migratori solo in termini di “sicurezza” ed “emergenza”.
Tutto ciò avviene tra la soddisfazione dell’ultradestra, tanto politica quanto mediatica.
Il primo ministro ungherese Orban, dopo l’annuncio di confini blindati in da parte del governo tedesco, ha scritto su X: “Cancelliere Scholz, benvenuto nel club!”. E Tommaso Cerno (ex Pd), direttore de Il Tempo, foglio dell’ultradestra italiana sempre di proprietà di Angelucci, il 15 settembre poteva scrivere tronfio che “l’Europa ci copia […] oggi sta attuando politiche restrittive, chiudendo i confini”.
Davvero l’unica tattica che conosce il campo del centrosinistra in tutta Europa è “se non puoi batterli, unisciti a loro”?
Così, mentre il centrosinistra sembra interessato unicamente a difendere i giudici dagli attacchi di Meloni e Salvini, l’ultradestra definisce i confini del campo e degli attori politici. Il “noi” e il “loro”. Su basi nazionali, se non etniche. Quante volte abbiamo sentito dire che i migranti sono un pericolo per la classe lavoratrice? A quale classe appartenevano Satnam Singh o Soumaila Sakho? Era forse diversa dalla classe cui appartenevano Paola Clemente e Luana D’Orazio? L’ultradestra distingue tra “autoctono” e “migranti”, imponendo una divisione all’interno dello stesso insieme, una divisione che opera per l’appunto su basi etniche. Dividendo, indebolisce.
Il migrante in quanto entità astratta non esiste. Non basta considerarli “esseri umani” (la base di ogni possibile civiltà), serve articolare il soggetto formato da lavoratori e lavoratrici, nel quale ci sono differenze, ma non divisioni. Altrimenti non riusciremo a costruire politiche realmente emancipatrici per la totalità della classe lavoratrice.