Tanti anni prima delle notti magiche il ragazzino Salvatore – già allora Totò – Schillaci rincorreva un pallone sui campi polverosi della Sicilia, indossando la maglia gialloverde dell’Amat, la squadra dell’azienda di trasporto pubblico di Palermo. Rimase nel settore giovanile dal 1976 al 1982, quando Messina e Palermo se lo contesero, i primi con più convinzione e maggiore forza economica. In quella squadra c’erano anche altri due calciatori che sarebbero arrivati in A. Il difensore Carmelo Mancuso, classe 1965, approdato al Milan dopo il passaggio al Messina proprio insieme a Totò, e Giuseppe Accardi, oggi procuratore anche di Ibrahima Mbaye e di Luca Fiordilino, coetaneo di Salvatore e con tante stagioni in A, B e C.
Com’era il giovane Totò, che con lei ha condiviso quegli anni dell’infanzia e dell’adolescenza?
Era un ragazzo perbene: non si è mai montato la testa neanche dopo, nonostante una carriera calcistica che pochi nella storia del calcio possono raccontare. Veniva da una famiglia umile, come del resto tutti noi. Totò lavorava da un gommista, ma anch’io per poche lire facevo i mestieri più vari.
Calcisticamente?
Aveva qualcosa più di tutti, lui e il cugino Maurizio, che non era solo un talento, era proprio un fenomeno! Totò il senso del gol l’ha sempre avuto, la furbizia era la sua principale caratteristica, appena passava mezza palla lui faceva gol. Quel calcio di strada gli è rimasto anche da professionista. Il problema nel calcio di adesso è proprio questo, manca quella furbizia. Allora era un calcio scaltro imparato dalla vita quotidiana.
Come passavate quei pomeriggi?
Il sacrificio non ci pesava, ci insegnavano educazione e regole. I nostri genitori erano sempre al campo con noi, mio papà, quello di Totò e quello di Maurizio. Eravamo come fratelli, abbiamo vissuto in simbiosi per anni. Il premio della domenica era di stare al campo, con l’allenatore-custode che ci cucinava la pasta al forno. Poi ci faceva fare i raccattapalle in serie D alla Amat, i nostri idoli allora erano quelli che giocavano in prima squadra. Poi ovvio eravamo tutti tifosi del Palermo, lui in primis.
Come andò nell’estate del 1982?
Il presidente dell’Amat trovò l’accordo economico con il Messina, poi si inserì nella trattativa anche il Palermo, che però offrì meno soldi. Ma forse il Messina è stata la sua fortuna. Un’altra battaglia di mercato fu fatta anche dal suo procuratore Caliendo per andare alla Juve, la proprietà del Messina sparava una cifra altissima, e Totò ovviamente voleva la Juve.
Poi arrivarono le notti magiche.
Quell’anno avevo giocato proprio a Palermo, tutti in città si sentivano coinvolti per via della sua presenza in nazionale. Città da sempre martoriata, ci mancava come al solito l’acqua anche se l’acqua in realtà ci sarebbe sempre ma questo è un altro discorso, eppure per quelle settimane ci siamo fermati per goderci i suoi gol. Finito il mondiale, il figlio prediletto fu accolto con una festa incredibile.
Vi siete mantenuti in contatto?
Un paio di anni fa Amat ci ha chiamato per una riunione. Non ti vedi per periodi lunghi, ma quello che è successo a quell’età non lo perdi, siamo tutti legati da un filo sottile che non può essere tagliato neanche oggi che Totò non c’è più.
Ultimamente?
Visto un’altra volta al campo della sua scuola calcio, al Luois Ribolla, quel campo era il Ferruzza, dove ci allenavamo da ragazzi. Oggi secondo me dovrebbero intitolare l’impianto a lui, è partita da lì la sua storia, una storia che lui non ha mai tradito fino all’ultimo giorno di vita.
Vi siete affrontati da calciatori professionisti?
Sì, in Licata-Messina e in Reggiana-Inter, mai marcato direttamente ma affrontato in certe situazioni di gioco, toccava menarlo perché era l’unico modo perché non facesse gol.
Quali sono state secondo lei le figure fondamentali della sua carriera?
Scoglio dal punto di vista umano, l’ha instradato facendogli capire che poteva diventare un grande giocatore, lasciandogli intatto quell’istinto puro. L’avvento di Zeman gli ha dato qualcosa in più per migliorarlo.
Un ultimo suo pensiero.
Non uno, ma mille per il papà di Totò – la mamma da qualche anno non c’è più – perché è una botta durissima perdere un figlio di 60 anni. Deve guardare avanti per mantenere viva la sua memoria e ripeto far intitolare a Salvatore “Totò” Schillaci quel campo in cui è cresciuto.