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Von der Leyen mette la pietra tombale sul Green Deal: “Non è più in cima alle priorità”. E nomina commissario l’ex consulente dei petrolieri

Una volta in cima alle priorità c’era il Green Deal, oggi ci sono sicurezza e competitività. Non avrebbe potuto essere più chiara la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, durante la conferenza stampa di presentazione della sua nuova squadra. Perché dietro proclami, promesse ed entusiasmi, non c’è nessuno che a Bruxelles non sappia […]

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Una volta in cima alle priorità c’era il Green Deal, oggi ci sono sicurezza e competitività. Non avrebbe potuto essere più chiara la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, durante la conferenza stampa di presentazione della sua nuova squadra. Perché dietro proclami, promesse ed entusiasmi, non c’è nessuno che a Bruxelles non sappia quanto il clima (non quello meteorologico) sia cambiato. Nonostante la presenza in Commissione Ue di politici attivi sul fronte del riscaldamento globale, che dovrebbero garantire di proseguire il lavoro sul Green Deal, sono diversi i segnali che vanno in direzione opposta. Non solo quanto smantellato, nel corso della scorsa legislatura, dalla stessa Commissione Ue, soprattutto per opera di un Partito Popolare Europeo spesso diviso. Prima della presentazione della nuova Commissione, d’altronde, c’è stata quella del rapporto di Mario Draghi, secondo cui gli “ambiziosi obiettivi climatici” dell’Ue devono avere anche “un piano coerente per raggiungerli”. Ergo: bisogna “coordinare le nostre politiche” altrimenti c’è il rischio “che la decarbonizzazione sia contraria alla competitività e alla crescita”. La composizione della nuova Commissione Ue fa i conti con tutto questo. E lo ha spiegato la presidente.

Le parole di Ursula von der Leyen – “La nuova Commissione europea e quella precedente sono state istituite in tempi molto diversi. L’ultima volta – ha detto in conferenza stampa – l’argomento del riscaldamento globale era in cima alle priorità e per questo motivo ho lanciato il Green Deal europeo”. Poi, la necessità di spiegare: “Non fraintendetemi, la dominanza di questo argomento sussiste ed è la spina dorsale di tutto ciò che noi stiamo facendo, però questa volta il tema della sicurezza, spinto dalla guerra della Russia in Ucraina, e quello della competitività hanno avuto un impatto più incisivo sulla progettazione egli orientamenti politici, sulla costituzione della Commissione, sull’organizzazione del collegio”. Anche questa volta, quanto accadrà sarà frutto in primis delle dinamiche interne al Ppe, quello maggiormente rappresentato con 14 commissari, ad esclusione della stessa von der Leyen. Cinque, invece, i membri sia per i Liberali sia per i Socialisti, anche se lo slovacco Maros Sefcovic appartiene al partito Smer, guidato da Robert Fico e sospeso da mesi. Sei i vicepresidenti esecutivi e, tra questi, la spagnola Teresa Ribera Rodriguez, responsabile di una Transizione giusta, pulita e competitiva, che avrà anche la delega alla Concorrenza.

Le deleghe Verdi promettono scintille – Non c’è più un commissario al Clima e al Green Deal europeo come era stato Frans Timmermans, ma questa volta il suo successore, l’olandese Wopke Hoekstra, sarà il nuovo commissario per Clima, crescita pulita e obiettivi net-zero, mentre Teresa Ribera guiderà l’intero Green Deal Ue o, meglio, ciò che ne rimane. Prevedibile che tra i due si potrà arrivare a confronti (e scontri) accesi. Hoekstra è esponente dei conservatori liberali del partito Appello Cristiano Democratico (CDA), dunque a Bruxelles è nel Ppe, il gruppo di von der Leyen, ma non del suo predecessore che, invece, apparteneva alla famiglia dei Socialisti europei. Questa scelta non piacque affatto a S&D, anche perché Hoekstra era stato consulente della compagnia petrolifera Shell.

Dopo aver più volte chiesto revisioni e indagini sui conti pubblici italiani in nome del rigore europeo, è rimasto coinvolto nell’indagine Pandora Papers sui tesori offshore di centinaia di politici e vip. Sul fronte clima, la sua politica è stata decisamente più soft rispetto a quella di Timmermans, mentre Teresa Ribera Rodriguez ha saputo mantenere il punto quando ce n’è stato bisogno. Lo ha fatto in patria come ministro della Transizione ecologica del governo di Pedro Sanchez, chiudendo molte miniere di carbone e stanziando 250 milioni di euro per sostenere la riconversione delle mansioni dei lavoratori, e lo ha fatto anche alla Cop 28 di Dubai, definendo “disgustosa”, la lettera con cui l’Opec ha cercato di ostacolare l’accordo finale del Vertice sul clima delle Nazioni Unite. Ha persino criticato la stessa von der Leyen sostenendo, in un’intervista a Politico, che la sua volontà di collaborare con l’estrema destra e di allentare l’impegno nei confronti dell’agenda green rappresentava “un atteggiamento di rassegnazione enormemente pernicioso” ed “enormemente dannoso per gli interessi europei”.