Buona la seconda per le italiane in Champions League 2024/25, con il Bologna che all’esordio nella manifestazione pareggia zero a zero al Dall’Ara contro lo Shakhtar Donetsk e l’Inter che all’Ethiad Stadium ferma il Manchester City di Guardiola sullo stesso risultato.

E proprio da Manchester arriva l’evidenza più felice per il calcio italiano: l’Inter è una realtà, in grado in un periodo di assoluta fluidità dei valori di chi primeggia di mantenersi ai vertici non solo in Italia ma anche in Europa giocandosela alla pari e anzi, facendosi per larghi tratti preferire, con uno dei primi tre club al mondo, peraltro fuori casa. Una squadra matura quella nerazzurra, che non si lascia tentare dall’affrontare la gara col piglio del par venue: arrembando con incoscienza, più che coraggio, per poi finire facilmente in balia dell’avversario. No, la gioca colpo su colpo l’Inter, ordinata e conscia della forza prepotente dell’avversario ma pure della sua fragilità. Merito di Inzaghi che ha saputo dare mentalità all’Inter ma pure di Marotta che a una squadra già forte ha saputo via via aggiungere i tasselli giusti: prima Sommer, Mkhitarian, Thuram, Pavard poi Zielinski e Taremi. Gente che la Champions la conosce, l’ha giocata e può dare tanto (e infatti l’impatto, per l’iraniano in particolare è ottimo) e che unita alla già collaudata truppa inzaghiana, da Bastoni ad Acerbi a Barella, alla fine ti incarta il City.

Soffrendo? Certo, ma pensare di incartare il City senza soffrire è pura utopia, chiedere a Carletto Ancelotti e Dani Carvajal per credere, ma facendoli pure soffrire, mica poco. Perché sì, il City ci prova fino all’ultimo e va anche vicino al vantaggio, ma l’Inter non sta a guardare forse sprecando anche qualche buona occasione con Lautaro e soprattutto con Darmian che si inventa uno strano tacco alla Guti invece di tirare. Tuttavia l’esame di maturità dell’Ethiad Stadium è pienamente superato: l’Inter c’è, può giocarsela con tutti e ha pure un calendario non difficilissimo per il prosieguo della competizione. Un buon inizio.

E non si può che dire bene poi del Dall’Ara pieno e in festa per il Bologna in Champions dopo sessant’anni, ad affrontare lo Shakhtar. E se nel 1964 la beffa era arrivata alla fine, col gol dell’Anderlecht che aveva negato il passaggio del turno ai rossoblu di Pascutti, stavolta sono i minuti iniziali che rischiano di essere fatali. Posch si perde Eguinaldo dopo tre minuti e poi lo atterra in area: Skorupski però allontana il dramma bloccando il rigore del gioiellino Sudakov. Ed è giusto che a prendersi i primi applausi scroscianti sia proprio lui, veterano silenzioso che ha contribuito a suon di parate a conquistare lo storico piazzamento Champions.

E’ un buon punto, in fin dei conti, considerando che il Bologna è il Bologna, esordiente nella competizione e contro una squadra che per quanto non sia il Real o il Bayern di esperienza in questa coppa ne ha parecchia di più. Avrebbero potuto fare di più Orsolini e compagni? Sì. Avrebbero dovuto capitalizzare le occasioni di Castro e soprattutto Fabbian, che solo da due passi ha sparato addosso al portiere avversario, rendendo produttivo il bel gioco indiscutibilmente messo in campo anche per evitare l’etichetta di “bello che non balla” a mister Italiano, dopo due finali perse e anni di Fiorentina belli, ma non memorabili.

Memorabile in ogni caso sarà vedere il Bologna contro Liverpool, Benfica o Borussia Dortmund: a patto che non si corra il rischio che la manifestazione più importante e le gare di cartello non prosciughino pericolosamente energie fisiche e soprattutto mentali come già forse avvenuto finora, con zero vittorie, tre pareggi e una sconfitta in avvio di campionato. Questo sì, sarebbe un vero peccato.

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