di Rete dei Santuari di Animali Liberi*
La Psa (peste suina africana) è una malattia molto grave e con un elevato tasso di mortalità nei suini, ovvero nei maiali e nei cinghiali. Non è una zoonosi, ma una malattia specie specifica. Il virus non è nocivo per l’uomo ma è altamente contagioso per i suini e resiste nell’ambiente per parecchi mesi. Dall’agosto 2023 la peste è riuscita a varcare le mura degli allevamenti intensivi. E’ accaduto in Lombardia, nel pavese. Prima di allora, era stata riscontrata solo nei cinghiali, in Liguria e Piemonte. Mai dentro agli allevamenti. Quel passaggio ha generato un allarme e uno scenario senza precedenti. L’industria zootecnica si è scoperta fragile, esposta agli attacchi esterni e terreno fertile per i virus.
A difendere il comparto zootecnico sono scesi tutti, istituzioni, associazioni di categoria, veterinari pubblici, commissari, veterinari privati. Per difendere gli allevamenti e il portafoglio degli allevatori si è ricorsi alla biosicurezza e, laddove ha fallito, a misure spropositate. Tra cui lo stamping out, ovvero l’abbattimento di tutti soggetti di un concentramento di animali, anche in caso di un solo positivo alla malattia.
Per proteggere l’eccellenza italiana, nei focolai, dai 2023 ad oggi, sono stati sterminati, in maniera disumana, più di 117mila maiali, tra Lombardia e Piemonte. Oltre ai cinghiali. 612mila solo nel 2023. In questa mostruosa macchina di morte sono finiti inghiottiti e intrappolati, come in uno spettrale buco nero, anche i maiali di un santuario.
E’ passato un anno dai tragici fatti del 20 settembre 2023. Quel giorno le istituzioni uccisero 9 maiali, che vivevano in un santuario della Rete dei Santuari di Animali Liberi, e che erano sopravvissuti alla peste suina africana. Soffocarono, con inaudita violenza, un presidio pacifico che, per 14 giorni, era stato a difesa degli animali e del santuario Progetto Cuori Liberi. Lo fecero calpestando noi attiviste e attivisti. Letteralmente camminandoci sopra. Picchiandoci. Strattonandoci. Insultandoci. Portandoci in questura. Distruggendo il santuario e, infine, uccidendo i maiali.
Quando ripensiamo a quel giorno, siamo sopraffatte. Certamente per il dolore per quanto accaduto. Per l’impotenza. La frustrazione. Ma, oltre a questo, quell’evento è estremamente significativo perché ha tracciato, accuratamente, uno spartiacque. Tra il prima e il dopo. Come fosse la fine di un’era. E fosse tramontato un mondo, spalancando il futuro. Nulla è stato più lo stesso. E l’istante in cui tutto è finito è, insieme, il momento in cui ogni cosa è cominciata. Una nuova visione.
Così, l’attimo in cui morimmo, insieme a quei maiali che amavamo, fu il momento esatto in cui ci siamo svegliate. E il giorno in cui le istituzioni hanno potuto vedere persone, che ritenevano naïve e folcloristiche, opporsi agli ordini e non cedere alle intimidazioni. Non collaborare. Rifiutarsi di obbedire. Sollevarsi e resistere. Fino all’ultimo respiro. In quel giorno siamo diventate quello che siamo chiamate ad essere oggi. In questa società e in questo sistema. Patriarcale, capitalistico, violento, sessista. Fascista. Specista.
Noi, santuari, siamo la speranza.
La ribellione.
La resistenza.
L’avanguardia assoluta del movimento di liberazione animale.
Così, in quest’ottica, le nostre strutture si trasformano in fucine per il cambiamento. Avamposti libertari. Radicali e politici. Che promuovono modelli diversi e mostrano l’urgenza di cambiare. Prospettiva. Narrazione. Abitudini. Noi stessi e il mondo. E, soprattutto, il modo di relazionarci col resto dei viventi. Nei nostri recinti accade una sorta di cortocircuito. Sorge chiaramente un mondo alla rovescia. E si inceppa lo spietato sistema produttivo basato sul sangue e sul sudore degli animali.
Per questo, sempre più, nell’ultimo periodo, sui santuari, si è posato l’occhio della repressione. E per le azioni del 20 settembre stiamo ricevendo i primi avvisi di garanzia. Le istituzioni, non immaginavano, tutto questo, quando col decreto 134 del 2022 e con quello successivo del 7 marzo 2023, ci hanno riconosciuti come rifugi permanenti. Finalmente, una volta per tutte, non allevamenti. Ma il loro contrario. Gli animali residenti come non dpa, non destinabili per l’alimentazione.
Non avevano previsto ciò che noi sappiamo e vediamo oggi. E ciò che, in realtà, siamo sempre stati. Una realtà capace di resistere. Interrogarsi. Esprimere dissenso. E reagire. Opponendosi alla narrativa dominante. Mostrando l’alternativa. Ovvero l’unica via che può salvarci tutti.
Per questo, venerdì 20 settembre, a Milano, in piazza Città di Regione Lombardia, ci sarà un presidio per non dimenticare. E per rivendicare ciò che è necessario. Ciò che non abbiamo ancora ottenuto. E che chiediamo allo Stato da quel giorno. Ovvero protocolli sanitari diversi e maggiori tutele per i residenti nei santuari. Anche in caso di emergenza sanitaria. Perché non possiamo aspettare: di nuovo, abbiamo la peste davanti ai nostri cancelli. Siamo assediate e circondate da focolai, soprattutto in Lombardia. E, se dovesse entrare, ci troveremmo nella medesima situazione.
L’unica differenza, tra allora e oggi, siete voi. Che dovrete essere in tante per impedire che accada di nuovo. Ancora e ancora.
* La Rete dei Santuari di Animali Liberi è un network che riunisce e coordina rifugi per animali così detti da reddito, scampati all’industria della carne. Attualmente conta 26 santuari aderenti, disseminati per tutto il Paese, isole comprese. In essi, in questo preciso momento, risiedono più di 3400 animali, liberati dalla politica di dominio che agisce sugli animali nella nostra società e dall’industria zootecnica. I santuari della Rete non sono solo semplici rifugi. Sono antispecisti. Antifascisti. Per tanto si trasformano in spazi politici di resistenza, pace e libertà, in cui ogni animale torna ad essere ciò che è: ovvero una persona. Un individuo, unico al mondo.
Nei santuari si pratica la Cura e ha luogo un’economia al contrario, in cui quelli che, da tutto il mondo, sono considerati animali da reddito, diventano animali da “debito”, in quanto cessano di creare profitto e devono essere mantenuti (per cui costituiscono un impegno, un debito) da chi gestisce i santuari. E, così, gli animali che, per millenni di domesticazione, sono stati costretti a lavorare per l’uomo, si riposano e sono gli umani a lavorare per loro.
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