A rivelarlo è il settimanale Giallo, che riferisce le ultime novità nelle indagini sul caso della giovane uccisa nell'agosto del 1990
“L’assassino di Simonetta Cesaroni lavorava con lei? Si indaga sui suoi colleghi!”. Questo il titolo, decisamente spiazzante che campeggia sul nuovo numero del settimanale Giallo che richiama in copertina l’articolo sulla ragazza di Cinecittà che trovò la morte nella Roma bene, 34 anni fa. Simonetta fu uccisa con 29 coltellate inferte da un tagliacarte mai ritrovato, il 7 agosto del 1990 negli uffici dell’Aiag (associazione italiana ostelli della Gioventù), in un palazzotto in via Carlo Poma nel quartiere delle Vittorie. Da allora il suo assassino, ammesso che sia ancora in vita, è a piede libero. Tre inchieste, con altrettanti indagati poi scagionati per il suo omicidio perché innocenti (prima il portiere dello stabile Pierino Vanacore “suicidatosi” nel 2010, poi il figlio dell’architetto Cesare Valle che all’epoca viveva in quel palazzo e infine il fidanzato di Simonetta) sono finite nel nulla. L’inchiesta sul giallo di via Poma è stata di recente riaperta e poi c’è stata richiesta di archiviazione, nel dicembre del 2023.
Ma perché Giallo esce in edicola con questo titolo così forte e deciso? A quanto pare, la Procura di Roma sta ancora indagando. In pratica, come riportato dal settimanale, “sono stati ritrovati importanti nuovi documenti sulle presenze in ufficio di 34 anni fa, nei giorni in cui fu uccisa la ragazza” che prestava servizio presso l’Associazione italiana degli ostelli della gioventù, su richiesta del suo datore di lavoro primario, il direttore della Reli Sas in via Casilina: tale Salvatore Volponi. Pochi giorni prima dell’omicidio, Volponi aveva chiuso un accordo col presidente di Aiag Francesco Caracciolo di Sarno (soprannominato “l’avvocato dei misteri”) per far lavorare Simonetta negli uffici di via Poma il martedì e il giovedì pomeriggio.
A rigor di logica Giallo fa riferimento ai cosiddetti “fogli firma” – antenati del cartellino da obliterare e a sua volta sostituito dal moderno badge da strisciare – utilizzati all’epoca per registrare ingresso e uscita negli uffici. Secondo indiscrezioni che sono pervenute anche a FqMagazine, questo fascicolo di fogli firma nel ’90 fu fotocopiato e consegnato a qualcuno che evidentemente oggi lo avrà dato a sua volta agli inquirenti. A consegnarlo fu per forza di cose un (o una) dipendente dell’Aiag che sapeva prima o poi sarebbero serviti a fare chiarezza. Non a caso all’epoca delle indagini, questi fogli sparirono. Nel ’96 la Procura si accorse che i fogli firma non erano stati sequestrati da chi aveva diretto le primissime indagini, sulla scena del crimine. Quando i magistrati li cercarono, si resero conto che mancavano tutti i fogli firma da luglio a novembre del 1990. Qualcuno, oggi, avrà a sua volta compreso l’importanza e la preziosità di quei documenti con sopra le presenze dei colleghi nel giorno in cui Simonetta aprì la porta al suo assassino. Del resto ne era convinto anche il padre di Simonetta Claudio Cesaroni che prima di morire disse: “Sono convinto che il nome dell’assassino di mia figlia sia nelle carte”.
Ecco perchè Giallo scrive che questi documenti sono così importanti. Forse perché qualcuno che ha detto di non essere in ufficio quel pomeriggio potrebbe aver mentito? E se così fosse perché lo avrebbe fatto? Forse per non dover dichiarare alle autorità di aver visto qualcuno quel giorno con Simonetta nella stanza del direttore (che intanto etra in ferie)? E nel caso sia davvero andata così, perché lo avrebbe coperto? E c’è solo una persona che avrebbe nel caso mentito o quest’uomo potrebbe essere stato coperto da più persone? Tutto questo è ancora da verificare, per ora ci sono sempre e solo domande. Le riposte potranno darcele solo coloro che stanno indagando sull’omicidio irrisolto di Simonetta Cesaroni. Tutto questo è perfettamente allineato con quanto accadde all’epoca quando agli investigatori molti dei dipendenti di Aiag, convocati quella notte stessa, risposero di non conoscere Simonetta, di non averla mai vista in ufficio. Intanto, il legale di Paola Cesaroni, Federica Mondaini ha chiesto “che vengano analizzate le presenze nell’ufficio dove lavorava Simonetta nel giorni dell’omicidio e di verificare di conseguenza tutti gli alibi”.
Di certo, l’assassino di Simonetta avrà avuto quel giorno tutto il tempo per poter fuggire dallo stabile dal momento in cui ha ucciso la ragazza – intorno alle 18 – fino al suo ritrovamento. Perché Simonetta, lo ricordiamo, fu ritrovata ben oltre le 23,30 dalla sorella Paola che, preoccupata non vedendola rincasare, andò in quell’ufficio insieme al suo fidanzato dell’epoca. Con loro c’era anche il datore di lavoro di Simonetta, Volponi (che incredibilmente le disse di non sapere dove fosse l’ufficio) che le aveva procurato quell’incarico saltuario che le costò la vita. Ma la Procura, nonostante l’ultima richiesta di archiviazione di pm, continua a indagare e riparte dal luogo in cui si sono sempre addensati i sospetti: l’ufficio dell’Aiag in cui quel giorno Simonetta fu trovata, seminuda e senza vita, sul pavimento che intanto era stato ripulito. Ma non da tutto il sangue. C’è ancora un altro elemento da cui poter ripartire e sono proprio quelle tracce di sangue Gruppo A che il killer lasciò sull’ascensore e sulla porta dell’ufficio in cui si accanì con bruta forza su una ragazza di appena 20 anni.