Dopo anni di inerzia istituzionale e migliaia di richiedenti asilo all’addiaccio nonostante la legge imponga la loro accoglienza, lo scorso giungo era stata annunciata la soluzione. La 50a edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani si sarebbe tenuta a Trieste, dal 3 al 7 luglio, alla presenza del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, e di Papa Francesco, che aveva annunciato di voler incontrare i richiedenti accampati nel famigerato Silos, il fatiscente edificio accanto alla stazione cittadina, di proprietà della Coop, già magazzino portuale ai tempi dell’Impero austroungarico. Per evitare che il pontefice mostrasse al mondo il degrado che il Comune denunciava pur senza muovere un dito, il sindaco Roberto Dipiazza decise di firmare l’ordinanza di sgombero del Silos dove i migranti della rotta balcanica accampavano da anni tra fango, topi, freddo e immondizia. L’alternativa? L’ampliamento di una struttura esistente grazie ai moduli abitativi forniti dalle Nazioni Unite, da installare esternamente, e un “elevato turnover” con trasferimenti più assidui e costanti verso le altre regioni. La farsa – è già tempo di chiamarla così – è durata appena un mese. Già ad agosto, infatti, i trasferimenti sono tornati a diradarsi, mentre l’ampliamento dei posti tardava ad arrivare e, dopo l’iniziale trasferimento delle persone sgomberate dal Silos, i nuovi arrivati ricominciavano a finire sulla strada.

Oggi, mercoledì 18 settembre, a Trieste ci sono 125 richiedenti asilo in mezzo alla strada, comprese famiglie con bambini piccolissimi. Per anni si sono accampati nel rudere del Silos, spesso restandoci per mesi. Il Comune lo ha sempre chiamato “degrado”, negando soluzioni che, a detta del sindaco, attirerebbero altri migranti. Il flusso in arrivo a Trieste dalla rotta balcanica è in calo, in linea con i numeri dell’anno scorso. Costante anche la volontà di due terzi dei migranti di voler proseguire, per lo più verso altri Paesi europei, lasciando la città già a poche ore dall’arrivo. Secondo il rapporto “Vite abbandonate”, i numeri non possono considerarsi quelli di un’emergenza, vista la media di 5 richieste d’asilo presentate al giorno in una città di 200 mila abitanti. Complice il rallentamento dei trasferimenti dei richiedenti verso altre regioni, nel 2023 si sono contate anche 500 persone lasciate contemporaneamente all’addiaccio. Ma l’imminente visita di Mattarella e del Papa sblocca la situazione. Lo scetticismo non manca, visto che i nuovi posti in località Campo Sacro sono ancora tutti da realizzare e dal cilindro non è uscito che un pugno di container targati Onu. Si lascia passare luglio e intanto la piazza antistante la stazione, quella piazza della Libertà ribattezzata Piazza del mondo dai volontari presenti quotidianamente, si riempie di attivisti e scout venuti da ogni parte d’Italia per incontrare i migranti, richiedenti o transitanti che fossero. Poi il repentino calo delle temperature e le piogge di settembre, un doloroso bagno di realtà: i posti non ci sono e i richiedenti in strada sono di nuovo tanti, ora al freddo. Il punto lo ha fatto la prefettura di Trieste lunedì scorso, convocando sindaco, volontari e associazioni cittadine. E svelando finalmente il mistero dei container dell’Onu, arrivati già ai primi di luglio e mai installati. La ragione? Un evento imponderabile: le raffiche di Bora. Tanto che qualcuno tra i presenti alla riunione si è chiesto se non sia più sciocco chi i moduli li ha inviati o chi se li è fatti mandare per poi accorgersi, a mesi di distanza, che erano inservibili perché potevano ribaltarsi. Flop a parte, di soluzioni per i richiedenti nemmeno l’ombra. Anzi, prefettura e comune si sono limitati a chiederne ad associazioni e volontari. “Non è forse questa la vostra missione?”, è stato detto loro chiedendo di trovare soluzioni indipendenti e autogestite. In altre parole, senza contributi pubblici. Quanto ai transitanti, gli stranieri intenzionati a proseguire il viaggio, la linea è quella dura di sempre: non esistono.

Assente alla riunione nonostante le promesse, il sindaco Dipiazza è intanto ripartito con le accuse ai volontari che in piazza Libertà distribuiscono cibo, cure, coperte e sacchi a pelo a chi la Bora si prepara ad affrontarla in mezzo a una strada. Dipiazza è da sempre convinto che un pasto caldo e una coperta termica costituiscano un pull factor, cioè una calamita che spinge i migranti a mettersi in viaggio. Come se chi parte dalla Siria o dall’Afghanistan fosse mosso dalla prospettiva di un piatto di minestra offerto davanti alla stazione di Trieste. Così il primo cittadino si guarda bene dal fornire servizi igienici e chiude anche il sottopassaggio davanti alla stazione, unico riparo dalle intemperie. “La Regione Fvg ha elargito oltre un miliardo di contributi nell’ultimo assestamento di bilancio. Non un solo euro è andato per questo dramma che si svolge ogni giorno a Trieste. Invece di vergognarsi delle condizioni in cui queste persone sono costrette a vivere a Trieste – ha scritto il consigliere regionale di Open Sinistra Fvg Furio Honsell – si spendono soldi per sprangare sottopassaggi: restiamo umani”. Un appello che il meteo costringe a tradurre molto concretamente. L’associazione Linea d’Ombra, in piazza da anni per curare i piedi piagati dalla rotta balcanica e a volte le ferite inferte dalle polizie di confine, in queste ore chiede di contribuire con giubbotti e sacchi a pelo trasportabili. Sulla pagina Facebook di Lorena Fornasir, fondatrice dell’associazione, le immagini recenti assomigliano di nuovo a quelle degli anni passati. “Procedere, oltre che con i trasferimenti, con più posti a Campo Sacro, e facendo in modo che le associazioni non vadano più in quella piazza a portare loro di tutto e di più”, ha rilanciato il sindaco Dipiazza. Fornasir ribatte: “Indegne dichiarazioni di chi ha chiuso i due unici gabinetti, di chi abbandona in strada neonati, madri, famiglie transitanti, profughi già identificati che non riescono a entrare in accoglienza, profughi che la questura rimanda di giorno in giorno, di settimana in settimana. Questo è lo scandalo, la vergogna, l’indegnità. Abbiamo salvato delle vite. Curiamo i feriti, li ricopriamo a causa del freddo, li sfamiamo grazie a una rete di comunità, associazioni, persone solidali di tutta Italia. Trieste è stata la vetrina dello scandalo del Silos, continua ad esserlo per lo scandalo dell’abbandono in strada”.

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