L’allerta è scattata ancora prima del periodo canonico, da novembre fino a marzo. Si tratta dell’epidemia stagionale da virus respiratorio sinciziale (Vrs), che può provocare nei neonati casi gravi di bronchiolite. Ogni anno nel mondo causa la morte di circa 100mila bambini con meno di 5 anni. Un nuovo farmaco preventivo potrebbe però segnare una svolta: si tratta dell’anticorpo monoclonale Nirsevimab, che ha dimostrato di prevenire il 90% delle ospedalizzazioni e che il Ministero della Salute ha annunciato di voler rendere disponibile gratuitamente, a carico del Ssn, in tutte le Regioni per il trattamento dei neonati. L’avvio di una interlocuzione con l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) affinché si proceda al trasferimento del farmaco dalla fascia C a quelli in fascia A, dunque a carico del Ssn, è stato annunciato e comunicato in una nota alle Regioni dal ministero della Salute proprio “in considerazione dell’aumentata incidenza del Vrs nella popolazione pediatrica”.

Il parere dell’esperto
“Il virus respiratorio sinciziale è una delle cause più frequenti di bronchiolite, cioè di un’infezione delle basse vie respiratorie che si può associare anche alla polmonite”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Roberto Cauda, docente di Malattie infettive dell’Università Cattolica e dell’università Campus bio-medico.
“Il virus provoca una sindrome di tipo respiratorio, come riniti, naso che cola, tosse, febbre, spossatezza. Caratteristico è anche il respiro sibilante dovuto alla presenza della bronchiolite”.

I più vulnerabili
Il virus si trasmette attraverso goccioline di saliva che vengono emesse da chi ne è già contagiato. Colpisce in particolare i bambini di età inferiore a 2 anni con la maggior parte dei casi che si verificano nel primo anno di vita (in alcuni casi si parla di bronchiolite del neonato). In questi bambini, “la bronchiolite può risultare anche piuttosto grave, soprattutto nel corso della prima infezione, mentre le eventuali reinfezioni sono meno serie”. Nei bambini la malattia risulta particolarmente grave perché fino a un anno di vita hanno un calibro delle vie aeree molto più piccolo, che si chiude facilmente a causa dell’infezione. Questi piccoli pazienti possono quindi rischiare di essere intubati e ricoverati in terapia intensiva. Da segnalare infatti che arrivano in ospedale per questo virus il 3,5% di bambini sotto l’anno. Il 20% di loro va in terapia intensiva. Succede soprattutto a quelli che hanno pochi mesi. “Il virus si diffonde anche al resto della popolazione”, aggiunge Cauda, “anche se le forme più gravi, oltre che nei soggetti molto piccoli, si presentano a volte nelle persone più avanti negli anni”.

Non è un vaccino
“Normalmente, la malattia ha un decorso di circa una settimana. Esiste una possibilità di prevenirlo tramite l’anticorpo monoclonale Nirsevimab che, è importante sottolineare, non è un vaccino e che può essere somministrato ai piccoli pazienti”, chiarisce l’esperto. Ricordiamo infatti che i vaccini agiscono sul sistema immunitario stimolandolo a produrre anticorpi. In questo caso siamo già di fronte a un anticorpo. Su questo fronte, spiega ancora Cauda, “c’è da poco un vaccino che è stato approvato dall’Ema (l’Agenzia europea di valutazione dei farmaci, ndr) che consente la protezione delle persone più anziane – over 65 – e soprattutto delle donne in gravidanza. Si è visto infatti che una somministrazione del vaccino a queste donne può ridurre la gravità della malattia e prevenirla”.

Perché c’è un aumento dei casi?
“Il motivo per cui si sta osservando una recrudescenza del virus respiratorio sinciziale non è facile da spiegare”, continua Cauda. “L’ipotesi che il l’inquinamento possa giocare un ruolo non è confermata, anche se la qualità dell’aria è un fattore alla base della frequenza di altre affezioni di tipo respiratorio. È chiaro che laddove ci sia un maggior inquinamento atmosferico si può verificare una maggiore trasmissione di agenti patogeni.
Un’altra ipotesi è legata alla possibilità che siamo di fronte al cosiddetto ‘debito immunologico’”, continua Cauda. Di che si tratta? “In sintesi, i mezzi di prevenzione indiretta messi in atto durante la pandemia per il Covid hanno ridotto la circolazione di virus che si trasmettono per via respiratoria, come quelli dell’influenza e il virus respiratorio sinciziale. Secondo questa ipotesi, quindi, si sarebbero ridotte le occasioni di incontro del virus nei confronti delle persone suscettibili rendendo il loro sistema immunitario in qualche modo meno pronto a rispondere, una volta che incontravano il virus. Cosa che è avvenuta quando le misure anti Covid sono scomparse”.

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