Ma con quale faccia ministri del governo Meloni ed esponenti della maggioranza negazionista del cambiamento climatico attaccano sindaci e Regione Emilia-Romagna per i danni dell’alluvione di questi giorni? Non è forse stato il governo Meloni a pretendere il controllo sulla ricostruzione post alluvione del 2023 nominando commissario il generale Figliuolo anziché attribuire tale ruolo al Presidente della Regione, come era avvenuto ad esempio per il terremoto del 2012? Vergognoso il ministro alla protezione civile Musumeci che attacca da Roma, comodamente seduto nel suo ufficio, gli amministratori emiliano-romagnoli mentre sono loro in prima linea a coordinare le operazioni di soccorso.

Ma del resto è lo stesso Musumeci che dopo l’alluvione del 2023 all’allora Presidente Bonaccini che gli presentava il conto salato di 9 miliardi di euro di danni rispose con arroganza che il governo non è un bancomat. Una evidenza, peraltro, ben chiara agli occhi degli alluvionati del 2023 che non hanno ancora ricevuto i risarcimenti promessi al 100% dalla premier Meloni in versione, in quei giorni, “boots on the ground” [nella foto in evidenza, ndr], salvo poi, tolti gli stivali, risultare desaparecida dall’Emilia-Romagna. Clamoroso il caso della ultracentenaria cooperativa agricola C.A.B TER.RA nel Ravennate, che decise di allagare i propri campi per mettere in sicurezza Ravenna che diversamente sarebbe finita sott’acqua: non ha ancora ricevuto un euro di compensazione per i danni subiti.

E’ evidente che il governo non ha imparato niente dall’alluvione del 2023, in primis la premier Giorgia Meloni che anche di recente ha continuato a tacciare di ideologico ogni ragionamento basato su dati scientifici sull’impatto del riscaldamento globale e degli eventi meteo estremi che genera, e che davanti alla platea di Confindustria ha frenato sul Green Deal, dopo aver votato contro la Nature Restoration Law, la legge europea per la rinaturalizzazione di territori e aree marine degradate e per la tutela della biodiversità. Una posizione irresponsabile da parte di Meloni che vuole “fare la storia” mentre è chiaramente scollegata dal presente e dalla presa d’atto che l’emergenza climatica è già arrivata e colpisce anche l’Italia.

Quanto a ministri, viceministri e cortigiani vari che polemizzano mentre le famiglie sono di nuovo allagate e le fabbriche chiuse, non è che puro, indegno sciacallaggio alimentato dalla speranza di raggranellare qualche pugno di voti nella prossima campagna elettorale. C’era da aspettarselo, ma devo ammettere che hanno superato anche le mie più nere aspettative sulla loro insensibilità umana e politica. Così come non mi aspetto che si possa ragionare sulla base di evidenze tecnologiche ed economiche sul ritorno al nucleare sostenuto dal governo Meloni. Eppure lo sanno anche i sassi che il nucleare ha costi elevatissimi che lo rendono praticabile solo se finanziato con risorse pubbliche (nessuna società privata si imbarcherebbe mai sul nucleare), ha tempi lunghissimi di realizzazione e comporta il “problemino” tuttora irrisolto delle scorie radioattive.

Tornando all’alluvione, è noto che come Verdi, al di là delle becere accuse lanciate agli ambientalisti, non ci siamo mai opposti alla realizzazione di opere per la messa in sicurezza idraulica del territorio. Io stessa come consigliera regionale di Europa Verde – AVS nell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna ho sollecitato la realizzazione di casse di espansione e la messa in opera di un piano di adattamento al cambiamento climatico. E siamo stati noi Verdi a chiedere alla Giunta regionale di riformare su scala di bacino idrografico le competenze della gestione dei corsi d’acqua oggi suddivise per province, col paradosso che le due sponde di un medesimo fiume o torrente possono ricadere su province diverse, impedendo un approccio coordinato. E sempre noi Verdi abbiamo chiesto di vietare di ricostruire nelle aree esondabili o allagate nel maggio 2023 per il principio di precauzione: se l’acqua era arrivata in quelle aree, poteva tornarci. Certo non ci aspettavamo una replica così rapida di un evento estremo di tali proporzioni che in passato aveva tempi di ritorno centenari.

Tutto spinge per la predisposizione di un piano, da finanziare con risorse statali adeguate, di adattamento al cambiamento climatico. È l’obiettivo alla base della mia proposta di legge regionale sul clima depositata nelle scorse settimane: se sarò rieletta, ripartirò da qui.
La pdl definisce la strategia e le azioni sia di mitigazione (riduzione delle emissioni climalteranti) sia di adattamento al cambiamento climatico per raggiungere la neutralità climatica dell’Emilia-Romagna entro il 2050 ed assicurare la resilienza dei territori e dei cittadini in risposta alle sfide del riscaldamento globale.

In Emilia-Romagna c’è tanto da fare: dagli ultimi dati disponibili 2021-2022, risulta che le emissioni medie pro capite/anno sono pari a 9,5 tonnellate, molto al di sopra della media italiana di 6,7 tonnellate e di quella europea di 7,3 tonnellate. La percentuale di copertura dei consumi finali di energia da fonti rinnovabili è di appena l’11,4%, inferiore al 23% di quella nazionale e al 19,1% a livello europeo. Anche nel campo dei consumi energetici ci sono ampi margini di miglioramento: in Emilia-Romagna sono pari a 2,8 tep (tonnellate equivalenti di petrolio) per abitante, ben oltre la media nazionale di 1,8 tep. L’industria regionale ha la più bassa percentuale di consumi elettrici, ferma al 30%, mentre l’elettrificazione dei consumi energetici associata alla diffusione delle rinnovabili è la chiave di volta del processo di decarbonizzazione.

La transizione energetica offre opportunità positive che vanno colte, mettendo d’accordo giustizia climatica e giustizia sociale, per non lasciare indietro nessuno e non farla pagare cara ai settori della popolazione più fragili. Ma è una strada dalla quale non si torna indietro, come ci ammoniscono le piogge torrenziali di questi giorni che hanno devastato anche le Marche. Il progetto di legge che ho depositato va in questa direzione, concretamente e senza sciacallaggi e ideologia. Si usino i 15 miliardi di euro destinati al Ponte sullo stretto di Messina per finanziare un piano nazionale contro il dissesto idrogeologico del Paese.

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