Diritti

Il ddl Sicurezza viola il diritto penale liberale: cozza con democrazia e Costituzione

Il disegno di legge governativo n. 1660 sulla sicurezza, appena approvato dalla Camera dei Deputati, è in evidente contrasto con i caratteri fondativi del nostro sistema democratico e viola in modo sguaiato i principi dell’ordinamento costituzionale. È fatta carta straccia del diritto penale liberale. Si minaccia di sanzione carceraria chiunque protesti, in qualunque modo: per strada, pacificamente, in carcere. Lo scorso maggio, agli inizi della discussione parlamentare, con un documento congiunto scritto da Antigone e Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), avevamo lanciato l’allarme su come lo Stato di diritto fosse pericolosamente sotto attacco. Ma, soprattutto, lo aveva lanciato l’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), che aveva usato parole nettissime al proposito. Non un’associazione, non una Ong, ma addirittura un’organizzazione intergovernativa.

Il testo di legge strumentalizza la paura delle persone criminalizzando le lotte sociali e le forme di protesta, liberalizzando l’uso delle armi fuori servizio per chi ha compiti di polizia, introducendo una sequenza di nuovi reati. Si prevedono abnormi aumenti di pena, ad esempio per i reati di occupazione o resistenza, che potrebbero, tra le altre drammatiche conseguenze, determinare un aumento ulteriore del già ingestibile affollamento del sistema penitenziario. Si introducono norme che mascherano intenti discriminatori, come quella che prevede il carcere per le donne in stato di gravidanza o con bambini molto piccoli. Una norma dall’evidente contenuto simbolico, finalizzata a reprimere un particolare gruppo sociale, connotato sul piano culturale ed etnico, ossia le donne rom. Come scritto nel documento Antigone-Asgi, la norma “rischia di assecondare le pulsioni razziste già presenti nella società. Parliamo di una decina di persone in tutta Italia. Non è questa sicurezza ma disumanità”.

Si prevede poi il nuovo reato di rivolta penitenziaria, che neanche il legislatore fascista del 1930 aveva pensato di inserire nel codice penale. Tale delitto punisce con pene altissime anche chi mette in atto esclusivamente una resistenza passiva. Si punisce chi protesta in forma pacifica, chi chiede ascolto attraverso i pochi strumenti che in carcere si hanno a disposizione, magari chi fa lo sciopero della fame. E in ogni carcere succede una decina di volte al giorno.

E poi, ancora, chi protesta fuori dal carcere, ugualmente senza violenza e con l’uso del proprio corpo, rischia il processo e la galera. Si alzano le pene per la violenza o la minaccia a un pubblico ufficiale nel solo caso che si tratti di un poliziotto, come se le altre figure professionali pubbliche valessero di meno. Si allarga la definizione di terrorismo sino a ricomprendere fatti non rilevanti dal punto di vista criminale, si aumenta la possibilità di revoca della cittadinanza, si allarga l’uso del daspo urbano, si punisce il vagabondaggio. Sembra un ritorno al periodo premoderno, al classismo, al diritto penale dei potenti e dei ricchi.

Infine, la norma della pura cattiveria. Non ci sono altre espressioni per riferirsi al divieto per chi ancora non ha un permesso di soggiorno di acquistare una scheda sim. Minori non accompagnati che arrivano in Italia dopo viaggi drammatici e non potranno avvisare i parenti del loro arrivo, donne e uomini che scappano da guerre e persecuzioni e non potranno avere contatti con i loro affetti, persone che passano dall’Italia con l’intenzione di ricongiungersi a parenti nel nord Europa e non potranno usare Google Maps. Basterebbe un minimo di empatia per capire che in cielo o in terra qualcuno risponderà di questa immane cattiveria.

Chiunque abbia a cuore la democrazia costituzionale deve esprimere la propria indignazione profonda: i giuristi, che mai devono assecondare le pulsioni dei politici alla ricerca di consenso, e i politici progressisti, che devono ricostruire un legame con le proprie radici costituzionali. Nell’Italia di oggi Gandhi, Danilo Dolci, Martin Luther King sarebbero considerati nemici da imprigionare. Nel frattempo in galera si contano i morti suicidi, nell’indifferenza generale di chi è al governo.