Ad ascoltarla bene quella frase assomiglia molto a un manifesto programmatico. “Io, per dispiacere di mia moglie, sarò sereno e tranquillo solo quando sarò morto“. Sono soltanto poche parole. Ma raccontano molto del modo di intendere il calcio (e la vita) di Ivan Juric, il nuovo allenatore della Roma dopo l’esonero di Daniele De Rossi. Ruvido, nervoso, suscettibile, impulsivo, l’uomo di Spalato sembra avere un talento naturale per crearsi sempre nuovi nemici. A volti reali. A volte immaginari. Nel corso degli anni non c’è categoria che non sia riuscita ad attirarsi le sue ire. Calciatori. Allenatori. Presidenti. Arbitri. Direttori sportivi. Ma, soprattutto, giornalisti. Allievo prediletto di Gasperini, Juric ha mutuato dal suo maestro idee tattiche e vis polemica. E non necessariamente in parti uguali. Tanto che il croato è diventato uno degli ultimi incendiari del calcio italiano.

Le sue parole ai media sembrano tratte da “L’arte di ottenere ragione” di Arthur Schopenhauer. Nello “Stratagemma numero 18” il filosofo tedesco scrive: “Se ci accorgiamo che l’avversario ha messo mano a un’argomentazione con cui ci batterà, non dobbiamo consentire che arrivi a portarla a termine, ma dobbiamo interrompere, allontanare o sviare per tempo l’andamento della disputa”. È uno strumento tanto banale quanto efficace. E il tecnico l’ha utilizzato un’infinità di volte. Nell’aprile del 2016 il Crotone di Juric pareggia 1-1 in casa del Modena e conquista una clamorosa promozione in Serie A. Al termine della partita un giornalista emiliano lo incalza. “Ho spremuto i ragazzi fino all’osso, a livello emotivo e fisico – dice il croato – decideranno loro se lottare per il primo posto”. Il cronista insiste: “Sapremo allora a chi rivolgerci se vi vedremo troppo remissivi nelle ultime giornate”. Juric sorride appena e risponde: “Il tuo atteggiamento è completamente sbagliato. Per essere cattivo: sono cazzi vostri“.

Nell’ottobre del 2018 il croato torna per la terza volta sulla panchina del Genoa. Le cose vanno male. Molto. In quattro partite ottiene appena 2 punti. Poi, a novembre, perde 1-2 contro il Napoli a causa di un’autorete di Biraschi. Il suo futuro si fa incerto. Così un giornalista gli chiede: “Ha sentito il presidente?”. È allora che Juric diventa una furia: “Ma che cazzo di domanda è? Io non mi preoccupo di questo ma solo di allenare la squadra. Non mi rompere i coglioni con questa domanda!”. Niente comunque in confronto a quanto capitato con Massimo Ugolini di Sky Sport. Nel maggio del 2021 il Verona gioca in casa del Napoli di Gattuso. È una sfida fra due squadre con motivazioni diversissime. L’Hellas è salvo da un pezzo e ha vinto solo una volta nelle ultime 12 partite. I partenopei sono a caccia di punti fondamentali per la Champions. Il finale sembra scontato. E invece a spuntarla sono i veneti. “È un Verona diverso rispetto a quello che abbiamo visto nelle ultime settimane”, dice Ugolini. Juric non gli dà neanche il tempo di finire la domanda. “Subito una grande cagata – risponde – Devi portare rispetto, se non segui non puoi palare così. Vai a vedere le prestazioni e come ha giocato la squadra”. È un siparietto che non fa ridere nessuno. E che si ripeterà qualche tempo dopo, quando Juric si siederà sulla panchina del Torino. “Non mi far incazzare, fa’ il bravo – dice il tecnico a al giornalista durante una conferenza stampa – fai domande scontate, banali!”.

Come ultimo, disperato, stratagemma per ottenere ragione, però, Schopenhauer suggeriva di diventare “offensivi, oltraggiosi e grossolani” passando “dall’oggetto della contesa al contendente e si attacchi in qualche modo la sua persona”. A marzo, durante un’intervista, Paolo Aghemo ha chiesto il perché della poca compattezza del Torino. “Penso che stai sbagliando proprio tutto – ha risposto Juric – Mi spiace perché c’è poca conoscenza di calcio da parte tua”. Una sorte che era toccata anche a Riccardo Ferri, che nel 2016 aveva sottolineato i problemi sulle fasce del Genoa. “Hai sbagliato completamente tutto – aveva detto allora il croato – se la vedi così capisci poco“.

Non è andata poi meglio ai suoi colleghi allenatori. Nel 2016ì chiedono a Juric quali siano i suoi riferimenti calcistici. E la lingua di Ivan è tagliente come un bisturi: “Cosa ruberei a Guardiola? Da lui parte l’idea tattica della superiorità numerica in ogni zona del campo ed è quello che cerco di ottenere anch’io. Cosa ruberei ad Ancelotti? La calma. A Mourinho? Ho letto tanto su di lui ma devo dire che non ho trovato niente che mi ispiri”. Lo scorso aprile, invece, durante una partita contro la Fiorentina è stato ancora più diretto con Vincenzo Italiano. Perché dopo qualche zuffa verbale il croato ha detto al tecnico viola: “Ti taglio la gola”. D’altra parte nel 2020, dopo uno scontro con Antonio Conte, lo stesso Juric aveva detto: “Io la vivo così. Quando finisce la partita sono una brava persona, ma durante no: non riesco a contenermi”.

È come se per andare avanti avesse sempre bisogno di bruciare la rabbia trasformandola in energia. “In questi due anni si sono fatte grandi cose perché sono nervoso e maleducato, vado dritto e mi scontro: tutto gira attorno alla voglia di migliorarsi e andare oltre – aveva spiegato ai tempi del Verona – Se non fossi così, se ci mettessimo in una comfort zone di tranquillità, tutto crollerebbe”. È a Torino che questa tendenza viene elevata a sistema. Juric se la prende con tutti. Nel 2022, nei primi giorni di ritiro a Waidring, il tecnico e il ds Vagnati iniziano a litigare. Lo scontro degenera praticamente subito. Volano insulti. Anche pesanti. Poi i due vengono quasi alle mani. Qualche tempo dopo il tecnico dirà: “Quel litigio è stato bellissimo, è l’essenza di tutte le cose. L’ho provocato così tanto che quando ha reagito ho detto: ‘Oh, finalmente!’. Poi il mondo l’ha ripreso e tutti pensavano chissà cosa ma io credo che sia stato un bel momento anche per lui, così come per la sua carriera”.

A novembre del 2023 il Torino batte il Sassuolo al termine di un’ottima partita. Sembra l’evento che può far girare la stagione, ma una telecamera riprende il mister granata. È nello Skybox dello stadio e mostra un doppio dito medio. Alla Maratona. Ai suoi tifosi. Tre mesi più tardi rincarerà la dose: “C’è una parte di pubblico che non ha lo spirito Toro”. Ora l’ultimo agitatore di una Serie A sempre più imbalsamata si ritrova ad allenare un club che da anni ha fatto dell’assenza di comunicazione una sua prerogativa. È una situazione esplosiva. E a Roma sperano che stavolta, a furia di giocare col fuoco, nessuno resti scottato.

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