“Le politiche energetiche e climatiche non devono mettere in pericolo l’indipendenza dell’industria automobilistica“, non vanno messi “in pericolo i profitti dell’industria” dell’auto. Lo dice il ministro dei trasporti ungherese János Lázár, alla presidenza di turno Ue, nella conferenza stampa al termine del Consiglio informale dei ministri dei trasporti. In poche parole Lázár riesce ad inanellare una notevole serie di errori.
Il primo è che pensare di attuare politiche ambientali proporzionate alla gravità della sfida posta dalla crisi climatica senza mettere a rischio i profitti di qualcuno è davvero una pia illusione. Questo approccio, mantenuto sinora, sta fallendo clamorosamente come emerge da qualsiasi dato su consumi di fonti fossili, emissioni di Co2, etc. “Gli obiettivi climatici devono essere aggiustati al mercato e se c’è bisogno vanno cambiati, non è troppo tardi. Dobbiamo forzare l’industria ad essere moderna, ma non dobbiamo ucciderne la competitività”, insiste però il ministro danese. “La Commissione deve essere più furba, professionale, orientata al mercato, pragmatica, sottolinea. I ministri dei trasporti sono pragmatici. Con meno ideologia e più pragmatismo e successo”.
Il secondo errore è quello di trattare l’industria dell’auto europea come un monolite. L’originale scadenza del 2025 per limitare a 96,3 g le emissioni medie per auto (quindi non della singola vettura tradizionale visto che poi la media si fa anche con le elettriche) di Co2 è effettivamente basata su aspettative riguardanti la diffusione dell’auto elettrica che si sono dimostrate irrealistiche. Tuttavia su questi target di decarbonizzazione , c’è chi è più avanti e chi è più indietro. Quindi case automobilistiche favorevoli ad una dilazione dei tempi ed altre che vi si oppongono. Qualche giorno fa il numero uno di Stellantis Carlos Tavares è stato chiaro: “Cambiare adesso le norme sarebbe surreale. Tutti conoscono da molto tempo quali sono le regole e hanno avuto tempo per prepararsi. Adesso è il momento di gareggiare”.
Insieme a Bmw e Toyota, Stellantis sta raggiungendo gli obiettivi o è prossima a farlo. Viceversa Renault e Volkswagen sono più indietro. Come si vede non è neppure una divisione tra industrie di diversi paesi ma all’interno dello stesso stato. L’industria dell’auto europea mette attualmente in conto di pagare sanzioni per 13 miliardi di euro per le auto e 3 miliardi di euro per i furgoni, a causa del mancato raggiungimento dei target che scattano il prossimo anno. Ma le sanzioni graveranno in maniera molto diversa tra i vari marchi.
Il governo italiano tiene una posizione di retroguardia. Sebbene nel nostro paese Stellantis sia l’unico produttore, Roma è tra le capitali più attive nel sostenere un (r)allentamento dei vincoli ambientali. “Nei prossimi giorni presenteremo una proposta italiana sull’automotive, che proprio ieri ha avuto il conforto e supporto, in un documento, dell’associazione dei costruttori europei, che ha detto esattamente quello che ho proposto ai primi di settembre a Cernobbio, su cui stiamo lavorando in Europa”, ha detto oggi il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso. “Anticipare la revisione del regolamento sulla Co2, aprendo a biocarburanti e motori endotermici”, propone Matteo Salvini a Budapest, durante il consiglio informale dei Ministri Ue. Salvini ha ribadito che “è ormai evidente a tutti che il solo elettrico è un fallimento”. Sembrano però posizioni un po’ in ritardo sulla veloce evoluzione della situazione.
Esiste senza dubbio anche un problema di infrastrutturazione, i punti di ricarica elettrica sono insufficienti, soprattutto se rapportati alle ambizioni originarie di diffusione delle batterie. È cosa nota da tempo, scoperta, da ultimo, anche dal rapporto di Mario Draghi. L’altro elemento frenante sono i costi delle vetture elettriche, senza incentivi ancora inaccessibili a gran parte del pubblico. Ma, come dimostrano alcune case automobilistiche, raggiungere un target di emissioni medie delle auto vendute in linea con i piani Ue, non è impossibile.