Un trafiletto su La Stampa del 1991, di quelli da cinque righe a fondo pagina. “SportFlash” li chiama il quotidiano torinese. Non c’è nessuna coppa alzata, nessun colpo sensazionale di mercato, nessun campionissimo in ballo. Per la verità nessun calciatore, nonostante sia la pagina calcistica, però quel trafiletto apre un mondo: protagonista è un muratore cileno, si chiama Aldo Caruso e ha 24 anni. Nelle partitelle con gli amici qualcuno avrà notato che Aldo, che dal Cile si era trasferito in Toscana, fosse davvero forte, convincendolo a presentarsi al centro d’allenamento bianconero (perché proprio ad Ascoli non si sa) per un provino. Il trafiletto in sostanza dice questo: che sì, l’Ascoli aveva permesso a Caruso di sostenere un provino, che no, Picchio De Sisti non aveva ravvisato qualità tali da aggregarlo, e che Bruno Giordano e compagni l’avessero congedato regalandogli una tuta. Poche righe, poco importanti, ma che restituiscono l’immagine di un calcio che non c’è più, dove un muratore cileno può presentarsi al centro di allenamento di una squadra di Serie A e dire “Sono forte, fatemi giocare”, e ottenere davvero un provino, stare per una giornata con calciatori di Serie A.
L’ha fatto in buona fede Aldo, che rilascia anche una dichiarazione: “Resterò comunque un tifoso dell’Ascoli”. C’è chi invece bluffando si è costruito una carriera e dei guadagni, chi ci ha provato, chi è stato sfortunato. Il Kaiser Raposo è ad esempio uno dei più noti casi di bluff in tal senso: chiamato Kaiser per una somiglianza (piuttosto vaga) con Beckenbauer. Per romanzare un po’ la storia si racconta che Raposo fosse completamente negato per il pallone, ma è falso: partì dalle giovanili di Botafogo e Flamengo perché bravino, non tanto da diventare calciatore professionista evidentemente. Aveva altre doti però Raposo: simpatico, capace di fare spogliatoio, abile a intessere amicizie. E così una volta compreso che non avrebbe mai calcato i palcoscenici del calcio che conta, Raposo capì in maniera geniale che per restare nel calcio che conta avrebbe dovuto evitare in modo assoluto di giocare a calcio. E sì, perché prima un compagno, poi un altro, poi altri amici gli garantiscono ingaggi ora al Botafogo, ora al Flamengo (con tanto di titolo “È il compagno d’attacco ideale per Bebeto” ad annunciarne l’acquisto), addirittura in Europa all’Ajaccio. Quando una delle tante squadre prese in giro lo costringerà ad andare in campo lui si inventerà comunque uno stratagemma per non entrare: una rissa coi tifosi prima del fischio d’inizio, con conseguente espulsione. Andrà fino al 2001, senza mettere piede in campo, per poi chiudere la lunga carriera da zero presenze.
Il più celebre, Raposo, non l’unico: Bernio Enzo Verhagen, olandese, riuscì ad ingannare 4 club professionistici con un video falso e una altrettanto falsa lettera di raccomandazione a firma di Marc Overmars, facendosi ingaggiare (in Moldavia, Sud Africa, Cile e Danimarca), macchiandosi anche di altri reati, ben peggiori. Ingegnoso fu Ali Dia, senegalese, che nel 1996 chiese a un suo amico di telefonare a Graeme Souness, all’epoca al Southampton. L’amico, spacciandosi nientepopodimeno che per George Weah fresco di Pallone d’Oro, caldeggiò l’acquisto del talentuoso cugino, fortissimo attaccante nel giro della nazionale. Si vede sin da subito che Dia non è propriamente un campione, ma inspiegabilmente Souness lo convoca e addirittura lo manda in campo contro il Leeds quando “Le God” Le Tissier si fa male. Dia gioca 53 minuti, prima di venir sostituito a sua volta, e il giudizio migliore su quella prestazione l’ha dato proprio Le Tissier: “Sembrava di vedere Bambi sul ghiaccio, è stato imbarazzante”. Qualche giorno dopo Dia comunicò ai medici del club di essere infortunato: nessuno lo ha più rivisto.
Sono riusciti a truffare club professionistici anche Alieu Darbo, che si inventò una raccomandazione del Bayern e arrivò vicino al tesseramento col Crotone, e Gregory Akcelord, che smanettando tra fotomontaggi e curriculum falsi riuscì a farsi tesserare dal Cska di Sofia. Nell’era di internet e dell’intelligenza artificiale è più facile, non come negli ’50, quando si narra che un tale si presentò a Firenze addirittura spacciandosi per Grosics, leggendario portiere dell’Ungheria di Puscas: fu subito palese non fosse lui, che scoperto scomparve poi nel nulla.
Una storia di calciatore “per caso” è invece quella di Harvey Esajas, che calciatore lo era davvero, e anche bravino, e che per una serie di contingenze era finito fuori dal giro, riciclandosi come lavapiatti. Harvey si ricorda però dell’amico delle giovanili dell’Ajax, Clarence Seedorf, che lo accompagna in giro per provini: prima alla Fiorentina, poi al Toro, provando anche a metterci una buona parola. C’è un problema: Esajas intanto ha messo su troppi chili, arrivando a pesare più di un quintale. Seedorf ne parla a Galliani e così Harvey finisce al Milan, perde peso e arriva anche all’esordio ufficiale in Coppa Italia. Passerà al Portogruaro, facendo solo due apparizioni e chiudendo la carriera a 32 anni, ma orgoglioso di quei cinque minuti giocati col Milan.
Qualche minuto da muratore o da lavapiatti, insomma, ma onestamente: meglio degli zero minuti da “Kaiser”.