Il turpiloquio, la volgarità non solo come espediente retorico per squalificare l’avversario di turno, ma una precisa strategia comunicativa che in politica, soprattutto quella degli ultimi trent’anni, ha accomunato nelle sue diverse sfumature i maggiori protagonisti delle nostre istituzioni. In modo molto spesso trasversale. Come è stata possibile questa lenta e inesorabile degenerazione del linguaggio?
Cosa hanno realmente in comune la retorica sfacciatamente triviale del primo Umberto Bossi, incarnata nel celebre celodurismo, con il famoso refrain “Capra, Capra” coniato da Vittorio Sgarbi? E soprattutto perché il turpiloquio e l’ingiuria più sguaiata sono riusciti – dopo anni di prosa educata e un po’ barocca – a colonizzare (e impoverire), insulto dopo insulto, il lessico della politica? A chiederselo è la giornalista Benedetta Cicognani, giovane studiosa di Rimini, esperta di comunicazione, in un libricino da leggere tutto d’un fiato: Onorevole Parolaccia, edito da Franco Angeli.
Il saggio, nelle sue 132 pagine, esplora le cause e le funzioni del turpiloquio nel dibattito politico, tracciando un filo conduttore che parte dal ventennio fascista, attraversa l’era della Milano da Bere di Bettino Craxi, fino alla seconda Repubblica. Tra i protagonisti di questo viaggio Berlusconi, Bossi, Salvini, il caso forse unico di Beppe Grillo. Fino a Donald Trump e al sindaco di Terni, Stefano Bandecchi. “Vannacci? Il suo è un turpiloquio contenutistico. Non mi interessa”.
Dal politichese al gentese. La genesi del turpiloquio – “Tangentopoli ha messo in crisi il ‘brand’ della politica”, spiega Benedetta Cicognani. “E questo si è riverberato anche sulle strategie comunicative dei nuovi leader. Siamo passati da un linguaggio alto, in cui il politico ambiva a rimarcare la propria superiorità, culturale e linguistica, ad un gergo più informale. Lo scopo era quello di rimettere insieme i pezzi di un patto di fiducia, ormai in frantumi, tra l’elettorato e i suoi rappresentanti”.
Ma l’insulto è solo di destra? –“La destra è sicuramente più abile nel connettersi con la sfera emotiva delle persone, creando un legame diretto e un indentificarsi col proprio elettorato: il turpiloquio calza a pennello con questa tattica, perché ha un impatto immediato. L’insulto da parte della sinistra a volte suona come una predica dall’alto, sempre un po’ altezzosa, e non riesce mai a creare quella simpatia o vicinanza che molti elettori cercano”.
Il famoso Vaffa di Beppe Grillo – “Nel mio libro gli dedico un intero capitolo: Grillo non ha usato il turpiloquio solo come cifra del suo vocabolario, è la genesi del Movimento 5 Stelle. Vi ricordate il grido ‘Onestà, Onestà’? Diversi esperimenti dicono proprio che le parolacce sono percepite come un timbro di trasparenza e quindi di sincerità, perché quando le utilizziamo non mettiamo filtri e non ci adeguiamo alle etichette. E questo può essere premiato a livello elettorale”.
Tutta colpa dei social? Secondo Cicognani “le emozioni forti e rabbiose sono il vero core business dell’algoritmo. I social però hanno soltanto amplificato dinamiche già esistenti. Il problema maggiore è dato dall’effetto del cosiddetto echo chamber, per cui veniamo alimentati da un flusso di informazioni che confermano solo ciò che già pensiamo. Questo ci isola nelle nostre convinzioni, rende il pensiero stazionario e lo radicalizza”.
L’esigenza di trovare sempre un capro espiatorio – Cicognani cita uno studio di Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, secondo cui “i gruppi più colpiti dai commenti negativi sui social sono, nell’ordine: le donne, le persone con disabilità e quelle omosessuali. Solo al quarto posto i migranti”. In politica, spiega, una della rappresentanti che è stata più vittima delle shitstorm è senza dubbio Laura Boldrini, “tra le prime anche a combatterle a livello legale (e culturale)”.
Un consiglio? Non abusarne troppo –“Nelle conclusioni del mio libro metto in guardia dal loro abuso, anche perché le parolacce sono anche importanti. Ampliano il nostro patrimonio espressivo, aggiungendo una coloritura emotiva e, talvolta, un tocco sovversivo che pochi altri termini riescono a offrire. L’abuso rischia di sbiadirle“.