Scienza

Dengue, Zika e gli altri arbovirus, il virologo: “La colonizzazione è in corso anche in Italia. Il West Nile ormai è endemico”

Una “colonizzazione” in corso in Italia dei virus diffusi dalle zanzare, complice l’aumento delle temperature e gli spostamenti. E così che malattie dal suono esotico, ma estremamente pericolose e in alcuni casi mortali, stanno acquistando spazio nei letti degli ospedali e sulle pagine dei giornali. Con il West Nile che “circola ormai endemico in molte regioni del Centro-Nord”. Sono stati i 13 i morti da inizio maggio. Dopo la pandemia di Covid e in attesa della minacciata malattia X abbiamo chiesto al professore Fabrizio Maggi, direttore dell’Unità operativa complessa di Virologia e Laboratori di biosicurezza dello Spallanzani, una riflessione sugli arbovirus e sulla “minaccia globale” che rappresentano.

Zika, Dengue, Chikungunya, West Nile, e virus meno noti tra cui Usutu e Mayaro. Un tempo erano sconosciuti ai più, adesso registriamo infezioni in aumento e anche morti in Italia. Cosa sta succedendo?
Questi virus, chiamati arbovirus, sono principalmente diffusi da zanzare e altri insetti vettori e i loro nomi, spesso esotici, derivano dalla loro prevalenza in Paesi lontani dove causano numerose infezioni, complicazioni post-infezione e anche decessi. Tuttavia, negli ultimi anni la loro distribuzione sta cambiando con nuove aree del mondo che diventano luoghi di replicazione locale, come sta accadendo per West Nile, Dengue e Chikungunya. Anche il nostro Paese non è immune a questo fenomeno di “colonizzazione” benché la maggior parte dei casi sia ancora importata da soggetti infetti provenienti da Paesi a rischio. Tuttavia, ci sono casi relativamente frequenti di replicazione e diffusione di alcuni di questi virus nel nostro territorio. Il West Nile circola ormai endemico in molte regioni del Centro-Nord con casi segnalati ogni anno e anche il virus Dengue ha visto un aumento dei casi locali, come testimoniano gli episodi in Lombardia e Lazio nel 2023. Inoltre, ci sono virus che ritroviamo sporadicamente, come il virus USUTU, oppure virus come Chikungunya che hanno il potenziale per produrre focolai locali com’è successo già nel 2007 in Emilia-Romagna e nel 2017 in Lazio e Calabria.

A cosa è dovuta la diffusione?
La diffusione di queste infezioni è dovuta a vari fattori come l’aumento delle temperature che favorisce la diffusione dei vettori come le zanzare in aree dove precedentemente non proliferavano e la crescita dei viaggi internazionali che facilita il contagio e il trasporto delle infezioni in Italia. C’è però anche un fenomeno paradossale: i miglioramenti nei sistemi di sorveglianza sanitaria rendono più facile rilevare e segnalare i casi accentuando la percezione di un aumento delle infezioni. In Italia esiste un sistema di sorveglianza sanitaria che monitora attentamente queste infezioni per individuare precocemente i casi e limitarne la diffusione. Ad esempio, fino ad oggi nel 2024 sono stati segnalati 412 casi di Dengue, di cui 2 autoctoni, 6 di Zika, 12 di Chikungunya e circa 300 di West Nile, ormai presente in almeno 11 diverse regioni.

Lei ha dichiarato che “gli arbovirus costituiscono una minaccia a livello globale”. Quanto sono pericolosi per l’Italia e per l’Europa?
Sono pericolosi perché possono diffondersi in molte aree del mondo dove non erano presenti prima e, inoltre, alcune di queste infezioni possono causare malattie anche molto gravi. Alcuni recenti studi dimostrano, con l’utilizzo di modelli matematici predittivi, una futura espansione rapida di queste infezioni dovuta alla capacità dei vettori, che trasmettono questi virus all’uomo, di colonizzare sempre nuove aree geografiche portando con sé virus che prima erano confinati in regioni tropicali. Tuttavia, sebbene gli arbovirus rappresentino una minaccia crescente per l’Italia e l’Europa, è possibile controllarli e gestirli attraverso misure preventive adeguate ed efficaci sistemi di sorveglianza. Non è dunque impossibile ridurre il rischio associato a queste nuove infezioni.

Quanto il cambiamento climatico e la tropicalizzazione del clima possono influire a rendere i virus e le malattie che innescano una emergenza sanitaria?
L’aumento globale delle infezioni da arbovirus, soprattutto nei paesi del Sudamerica, è dovuto a diversi fattori. Le temperature più alte e i cambiamenti climatici, come le variazioni nelle precipitazioni che causano inondazioni e siccità, influenzano la distribuzione, il comportamento e le caratteristiche fisiologiche dei vettori. Anche l’espansione delle attività umane e l’alta densità della popolazione interferiscono con l’ecosistema naturale favorendo la proliferazione dei vettori in nuove aree prima indenni dalla loro circolazione. Questa emergenza non è perciò attribuibile a un unico fattore ma a una combinazione di cause ambientali, umane e animali che alimentano la pericolosa diffusione delle arbovirosi. Questo potrebbe spiegare, ad esempio, il notevole incremento dei casi di virus Dengue negli ultimi 20 anni, periodo durante il
quale il numero di persone infette è aumentato di dieci volte a livello globale. È probabile poi che i dati siano sottostimati poiché molte persone infette non presentano sintomi e la segnalazione del virus non è obbligatoria in molti Paesi.

Lo Spallanzani partecipa allo studio Genesis. Ci spiega cos’è e se ci sono già le prime risposte alle domande su replicazione, evoluzione e persistenza di questi patogeni?
Genesis è un ambizioso progetto di ricerca che coinvolge il nostro Istituto e partner pubblici e privati. Lo Spallanzani, grazie alla sua decennale esperienza con gli arbovirus, partecipa a diverse attività del progetto. Stiamo indagando come questi virus si replicano e persistono nell’organismo umano, i loro meccanismi di trasmissione e la risposta immunitaria per identificare biomarcatori di patogenicità e persistenza. Sebbene il progetto sia appena partito, ci sono già alcune prime risposte promettenti che la ricerca ha iniziato a svelare su alcuni dei meccanismi che permettono a questi virus di persistere nell’organismo contribuendo alla loro capacità di causare malattie. Lo studio Genesis è un passo importante nella comprensione degli arbovirus e nella lotta contro queste infezioni emergenti.

Come possiamo difenderci e quali sono le misure di sanità pubblica da mettere in campo?
L’Italia è senza dubbio tra i Paesi più attivi nella lotta contro le infezioni da arbovirosi. Da anni esiste un piano nazionale di sorveglianza e contrasto alle arbovirosi che prevede un attento monitoraggio di ogni caso che viene importato e il controllo sui vettori anche con interventi di disinfestazione mirati intorno all’area dove il caso è stato segnalato. Questo per prevenire che una zanzara possa pungere il paziente infetto e trasmettere successivamente l’infezione ad altre persone. Il piano prevede anche di allertare i clinici e i medici di base per aumentare la vigilanza su sintomi specifici riconducibili a un’infezione da arbovirosi. Anche ciascuno di noi può contribuire a ridurre il rischio di focolai adottando piccole precauzioni come evitare ristagni di acqua nei sottovasi delle piante che favoriscono la proliferazione delle zanzare o prestando attenzione ai sintomi, anche lievi, al ritorno da viaggi in aree endemiche. Questi piccoli accorgimenti sono essenziali per abbattere il rischio di propagazione delle infezioni.

Dopo la pandemia tutti gli scienziati affermavano che dovevamo essere pronti ad affrontare una malattia X. Secondo lei sarà innescata da un arbovirus?
Prevedere con certezza quale agente causerà la prossima pandemia è impossibile. Pur aspettandoci un virus influenzale, nel 2019 è emerso un nuovo coronavirus. È vero che alcuni arbovirus sono strettamente monitorati e considerati “prioritari” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per il rischio di pandemia ma è altrettanto vero che i sistemi globali di preparazione e sorveglianza saranno essenziali per contrastare qualsiasi futura minaccia pandemica, specialmente per questi virus.

L’influenza aviaria ha ormai fatto il salto di specie e abbiamo le prime trasmissioni da mammifero a uomo ma ci sono voluti molti anni. Fra quanto la trasmissione potrebbe diventare interumana?
La trasmissione interumana dell’influenza aviaria è una preoccupazione crescente, ma attualmente è ancora rara con solo pochissimi casi rilevati in contesti familiari e determinati da un contatto molto stretto e prolungato. Perché il virus possa trasmettersi efficacemente da persona a persona deve subire ulteriori mutazioni che gli permettano di adattarsi meglio all’organismo umano. Al momento non ci sono prove che il virus abbia sviluppato una capacità significativa di trasmissione interumana. Tuttavia, il recente caso negli Stati Uniti senza esposizione ad animali malati o infetti solleva interrogativi che lo studio approfondito della sequenza del virus potrà forse almeno in parte aiutare a risolvere. L’influenza aviaria richiede comunque una continua sorveglianza a livello globale e misure preventive volte a ridurre il rischio di una possibile pandemia.

Foto per gentile concessione dell’Istituto Spallanzani