Alla fine tocca anche a Palermo fare i conti con la siccità e dover sperimentare il razionamento dell’acqua. Dopo il braccio di ferro negli scorsi mesi tra il sindaco Roberto Lagalla e il presidente della Regione Renato Schifani, che aveva chiesto una frenata poi di fatto arrivata, il capoluogo siciliano – già in sofferenza per una raccolta dell’immondizia deficitaria – adesso subirà un nuovo disagio. Dal 7 ottobre alcuni quartieri periferici (pari al 25 per cento del tessuto urbano) subiranno un giorno di stop del servizio idrico alla settimana. “Lo scontro politico non ha fatto che ritardare una misura urgente per preservare le risorse idriche e farle durare più a lungo possibile, adesso potrebbe essere troppo tardi”, punta il dito Beppe Amato, responsabile risorse idriche di Legambiente. Mentre Salvo Cocina, capo della Protezione civile regionale, spiega che “la misura è stata adottata per esigenze di risparmio idrico ma anche come sperimentazione, per mettere, cioè, alla prova il sistema idrico cittadino in previsione dello scenario peggiore, ovvero che non piova il prossimo autunno”.
Uno scenario pressoché apocalittico ma che deve essere comunque considerato, secondo gli esperti della Regione. Le prime settimane di settembre non hanno portato il sollievo sperato: le piogge sono state scarse e la situazione “è di molto peggiorata – indica Amato – soprattutto perché le precipitazioni non hanno aumentato le risorse nelle dighe: questo vuol dire che i terreni hanno assorbito molta acqua e se c’è questa esigenza idrogeologica, ovvero se i terreni hanno bisogno di tutta quest’acqua, vuol dire che le piogge serviranno soprattutto ai terreni non aumentando la disponibilità in diga: una situazione gravissima”. Dopo avere perso la diga Fanaco, prosciugata da un paio di settimane, a destare particolare preoccupazione è adesso l’Ancipa, la diga sui Nebrodi che serve le zone interne della Sicilia. Non a caso dal 14 settembre comuni come Nicosia, Troina, Gagliano, Valguarnera ed Enna hanno subito un aggravio del razionamento: “Siamo passati da 4 a sette giorni ma questa cosa non è possibile, non ce la facciamo e siamo pronti a proteste eclatanti”, avverte Fabio Bruno, presidente del Movimento per la difesa dei territori.
E spiega: “A Nicosia, comune in provincia di Enna, non ci sono abitanti con serbatoi capienti, tutti con un massimo di 500 o mille litri di capienza, per questo non si riesce a stare una settimana senz’acqua: non si può andare avanti in questo modo, bisogna trovare un’altra soluzione”. La Protezione civile ha già disposto l’invio di altre autobotti e la realizzazione di serbatoi comunali dove andare a rifornirsi. Ma per Bruno non è questa una soluzione praticabile: “Noi chiediamo che l’acqua venga razionata con un intervallo minore: 5 giorni e non sette, non siamo certi di farcela così ma è un inizio”. Altrimenti dall’entroterra siculo promettono battaglia: “Il consumo maggiore è quello del water, vuol dire che per risparmiare davvero sul consumo, dovremmo tornare al medioevo, e allora noi siamo pronti a gettare i nostri water e a mostrare al mondo il nostro disagio, se servirà”, avverte il presidente del Movimento per la difesa dei territori.
Con la fine dell’estate l’emergenza si è dunque aggravata, soprattutto nelle zone interne, dove, non avendo avuto disagi precedenti, gli abitanti non sono equipaggiati per un razionamento così prolungato. Senza contare che in quelle zone sono stati trovati pochi pozzi, che nei mesi estivi hanno rappresentato la soluzione d’emergenza per le zone in maggiore sofferenza. La Protezione civile ha chiesto ai comuni di setacciare i propri territori per scovare altre risorse idriche e in molti casi ne sono stati trovati, come a Trapani, dove sono stati riattivati i vecchi pozzi. Idem a Messina, dove 6 nuovi pozzi adesso servono la città e il Comune ha potuto chiudere il centro operativo attivato per fronteggiare la siccità. Mentre per il prossimo maggio si attendono i dissalatori di Porto Empedocle, Gela e Trapani, già finanziati con i fondi Fsc per 90 milioni e con altri 10 stanziati dalla Regione. Serviranno come “stabilizzatori”, spiega Cocina. In altre parole serviranno a rendere stabile l’approvvigionamento idrico a prescindere dalla piovosità soggetta a brusche oscillazioni a causa dei cambiamenti climatici.
Ma i tre dissalatori riguardano solo il 5 per cento dell’isola e non posso essere una soluzione nella parte interna, dove l’acqua dal mare dovrebbero non solo essere dissalata ma anche pompata in altezza. In queste zone più impervie sono anche pochi i pozzi scovati finora, situazione molto critica che ha spinto all’aggravio del razionamento. Nel frattempo però i pesci restano dove sono: durante l’estate una delle ipotesi vagliate dai tecnici era stata quella di spostarli dagli invasi per poter prelevare più acqua. Soluzione che finora non è stata adottata ma neanche del tutto esclusa: i pesci sono ancora sotto osservazione, in caso servisse e in attesa di un’autorizzazione ambientale, senza la quale l’operazione di travaso da una diga a un’altra non si può fare. Ma non si esclude nulla in Sicilia, dove la Protezione civile sta valutando lo scenario peggiore: “Non è il più probabile – spiegano dai vertici– ma le statistiche non davano probabile neanche la terza alluvione a Bologna: il cambiamento climatico ci impone di valutare scenari imprevedibili e di avere massima cautela”.