Chi arriva al suo cospetto si ritrova ai piedi di una grande montagna. Ma quella montagna non è che un ammasso di residui derivanti dall’estrazione di sali potassici che sono rimasti lì dopo la chiusura della miniera Bosco a Serradifalco, nel cuore della provincia di Caltanissetta. Tre milioni di metri cubi di sali potassici che adesso scompariranno perché si è compreso, dopo trent’anni di stop, che sia la kainite (sali potassici usati come fertilizzanti) sia questi residui hanno ancora mercato.

A fiondarsi sull’opportunità è stata la società Gmri Srl che ha svolto dei carotaggi nei luoghi della miniera e poi si è rivolta alla Regione Siciliana per investire sul territorio, portando sul piatto 11 milioni per ridare vita a un luogo che oggi è una bomba ecologica e ammorba l’aria dei cittadini di San Cataldo e Serradifalco. Oltre all’ammasso salino, per cui è stata ribadita la sua non tossicità (ma che comunque ha un forte impatto ambientale su un territorio che un tempo era un immenso bosco), nello stesso luogo ci sono, infatti, migliaia di metri quadrati di lastre di amianto dannose per i paesi dell’area interna di Caltanissetta.

I danni per la salute continuano ancora oggi e l’associazione “No Serradifalko” da tempo denuncia un alto tasso di tumori nella zona. “Da dieci anni lottiamo contro l’inquinamento – spiega Marcello Palermo, presidente dell’associazione – e il risultato della riapertura, che coincide con una bonifica dei luoghi, è un giorno storico per i nostri comuni e per il futuro di questi territori. Abbiamo operato nella prevenzione ma anche nel far comprendere come sia necessario avere risposte concrete ai tanti casi di tumore del nostro territorio”.

Con il nuovo corso annunciato dalla Regione, in una conferenza con la società interessata, la zona verrà interamente bonificata dal sale e dall’amianto. Oltre alla montagna di residui di sali potassici, che verranno utilizzati a livello industriale e per i mezzi spargisale, verranno smaltite le lastre di amianto sgretolatesi dal crollo dei capannoni a causa della mancata bonifica avvenuta dopo la chiusura della miniera, attiva fino alla fine degli anni Ottanta. Un disastro annunciato: un copione che riguarda tutte le miniere siciliane, chiuse e mai bonificate. Oggi, con nuove norme, dopo la costruzione di un impianto per la lavorazione del materiale, non spariranno solo gli scarti ma la miniera verrà riaperta per l’estrazione della kainite.

Fino a qualche anno fa il mercato di questo minerale era dominato da Russia e Bielorussia, ma la guerra ha portato al blocco dei due Stati e alla riapertura del mercato, oggi appannaggio di Germania e Israele. La provincia di Caltanissetta, un tempo cuore pulsante in questo settore, potrebbe così avere una rinascita: oltre alla miniera Bosco, infatti, la Regione ha ricevuto richieste per la concessione di altre due miniere, a Mussomeli e a Milena, tutti territori che alla chiusura degli impianti hanno subito uno spopolamento costante: Milena, ad esempio, negli ultimi 50 anni ha dimezzato i suoi abitanti.

Il nuovo corso, stando agli addetti ai lavori, potrebbe portare circa 400 posti di lavoro, ridando nuova linfa occupazionale ai Comuni vicini come San Cataldo, nella top ten dei primi dieci paesi italiani per emigrazione all’estero. Le previsioni parlano di almeno 15 anni di lavori e nuove prospettive per il territorio.

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