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Riparte l’anno accademico senza pensieri a Gaza: eppure gli atenei israeliani sono coinvolti

È appena iniziato il nuovo anno accademico e scolastico. In tutto il mondo, tranne che nella Striscia di Gaza, in Palestina, assistiamo alle inaugurazioni del nuovo anno nelle università e nelle scuole. I rettori e figure di spicco delle accademie, che l’anno scorso hanno ignorato le richieste degli studenti di cessare gli accordi con le università israeliane in solidarietà con gli accademici e studenti palestinesi, ora inaugurano un nuovo anno accademico con una normalità inquietante.

Le università di Gaza sono state totalmente annientate da Israele e dai suoi alleati in pochi mesi, e gli studenti palestinesi sono costretti a vivere in tende, soffrendo fame e privazioni dopo aver perso i propri sogni accademici. Tuttavia, qui, per gli accademici, dopo mesi di fuga dall’affrontare seriamente il problema e la questione della loro complicità, è tutto normale.

In Italia, gli studenti in protesta sono stati manganellati, arrestati e feriti dalla polizia per aver esercitato il proprio diritto alla critica verso il sistema accademico italiano, che si vanta di promuovere libertà e spirito critico, ma si piega alla linea politica del ministero degli Esteri. L’Italia è contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, e dunque le università hanno cessato gli accordi con le università russe. Ma l’Italia è alleata di Israele, nonostante la Corte internazionale di giustizia abbia stabilito che il popolo palestinese è a rischio di genocidio e Israele sia ancora indagato per genocidio. E così, le università italiane continuano le loro collaborazioni.

La Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) ha totalmente ignorato le richieste studentesche riguardanti il boicottaggio dei rapporti scientifici con Israele. “Siamo e rimaniamo aperti a collaborare con tutti”, ha dichiarato la presidente Giovanna Iannantuoni, eludendo così le richieste di una netta presa di distanza dalle università israeliane. Questo approccio è il solito metodo utilizzato da molti per evitare una presa di posizione, mentre, nello stesso periodo, altri hanno perso anni accademici e lavori per aver avuto il coraggio di esporsi.

La strategia dell’omissione del contesto

In Italia, quando si parla di Palestina, si tende spesso a ignorare i dettagli più scomodi che dimostrano la legittimità della Resistenza Palestinese contro l’oppressione di Israele, sostenuta dall’Occidente. Un esempio emblematico è stata la condanna acritica dell’attacco del 7 ottobre, senza che ci si soffermasse un minimo su quanto fosse anomalo che un rave party si svolgesse vicino alla Striscia di Gaza, una prigione a cielo aperto di 360 km2 dove più di due milioni di palestinesi vivono sotto assedio da diciassette anni. Quel rave stesso era un’espressione di violenza e apartheid, poiché, per principio, escludeva i palestinesi, che a pochi chilometri da quel luogo di festa morivano di stenti. Il fatto che si celebrasse la libertà e la spensieratezza a pochi chilometri da un vero e proprio campo di concentramento rappresentava l’ennesimo tentativo di normalizzazione della violazione sistematica dei diritti umani dei palestinesi, ma sollevare questo aspetto è considerato un tabù.

Le stesse università che oggi esitano a pronunciare la parola “Palestina” hanno condannato prontamente l’attacco del 7 ottobre, identificando le vittime e i responsabili. Questa dinamica è la medesima vista durante i bombardamenti israeliani del 2021, la Marcia del Ritorno del 2018 e tutte le escalation precedenti. La violenza quotidiana subita dai palestinesi diventa impossibile da trascurare solo quando si intensifica e coinvolge anche gli israeliani. Infatti, la maggior parte del tempo, le morti sono solo palestinesi, ma queste sono trascurate dai media, mentre quelle israeliane sono amplificate.

Il 6 ottobre 2023, a Huwara, una città della Cisgiordania occupata, un palestinese di 19 anni, Labib Dumaidi, è stato ucciso durante un attacco di coloni israeliani: 200 coloni avevano lanciato pietre contro le abitazioni palestinesi della città. Durante il corteo funebre, almeno 51 palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane. Questo episodio, avvenuto solo il giorno prima del 7 ottobre, non è stato considerato dall’Università La Sapienza, che ha invece condannato il 7 ottobre. Prima del 7 ottobre, il 2023 era già considerato un anno record per stragi di bambini palestinesi.

Le uccisioni dei palestinesi sono state normalizzate, diventando cronaca quotidiana, mentre le morti israeliane sono percepite come terribili. Questo è il punto di rottura con molti amici e persone che prima consideravamo stimabili: il 7 ottobre ha rivelato un’inconscia valorizzazione maggiore per le vite israeliane. Si esprime solidarietà con i palestinesi solo finché corrispondono all’ideale occidentale di “vittima perfetta”, purché non reagiscano concretamente.

Il problema non è l’indignazione per le morti israeliane, ma il doppio standard e il razzismo di fondo, che non potremo mai dimenticare, anche se ora tutti stanno cercando di rimediare ai danni irrimediabili che hanno contribuito a creare nell’ottobre 2023.

Il ruolo delle università israeliane nell’oppressione dei palestinesi

Il boicottaggio accademico delle università israeliane è stato avviato nel 2004 da accademici palestinesi che hanno creato la Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI). Questa iniziativa è stata motivata dalla profonda preoccupazione per la complicità delle università israeliane nelle politiche di occupazione militare, apartheid e pulizia etnica contro i palestinesi.

Università come il Technion di Haifa e l’Università di Tel Aviv hanno sviluppato tecnologie militari utilizzate contro i palestinesi. Human Rights Watch ha documentato la discriminazione sistemica nelle università israeliane. Il libro di Maya Wind, Towers of Ivory and Steel, mostra come queste istituzioni sostengano l’occupazione e il colonialismo israeliani. Esempi emblematici sono l’Università Ebraica di Gerusalemme e l’Università di Ariel, entrambe posizionate strategicamente per favorire l’espansione israeliana. Il movimento per il boicottaggio cerca di isolare internazionalmente queste università e di sostenere le accademie palestinesi, che sono costantemente ostacolate dalla violenza dell’occupazione israeliana.