Politica

Il profilo di questo governo è un profilo di crisi: la tenuta della maggioranza mostra lacerazioni

di Paolo Bagnoli

Non sarà che al governo della destra accadrà come ai pifferi di montagna che, andati per suonare, alla fine furono suonati? Oppure, riprendendo il bollettino della Vittoria, alla fine si trovi a risalire “in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”?

Vedremo. Certo, dopo due anni di proclami e di baldanzose dichiarazioni, il profilo del governo è un profilo di crisi frutto di un’insufficienza nella governabilità del Paese e nel vuoto di una classe dirigente al minimo di quanto le è richiesto di fare e di comportarsi.

Non stiamo qui a rimettere in colonna i casi che lo dimostrano; lo scambiare il governare con l’occupazione dei posti per sconfiggere finalmente una presunta egemonia culturale della sinistra – di quale, poi, si tratti è tutto da vedere – ci dice della miseria culturale, appunto, e politica di tutto l’insieme, per quanto si riesce a sapere dai giornali, ma siamo convinti che i germi della crisi siano ancora più profondi ed è probabile che possano evidenziarsi da un momento all’altro.

Tra l’altro le maldestre furbizie messe in campo nella gestione dell’Europa post-elezioni ci tolgono anche l’ambizione che potremmo avere non tanto quale forza in sé e per Sé, ma per quella serietà complessiva che conferisce a chi la esercita un livello di autorevolezza che un’Italia migliore e più seria può e deve esercitare.

I sovranisti, i custodi del fuoco nazionale dell’italianità, i cultori di una Patria che non si sa cosa in effetti sia – basta non possa dirsi che essa non può, storicamente, prescindere dal dichiararsi di essere antifascista – si incartano da soli ritenendo che, da un lato, i silenzi della presidente del Consiglio e, dall’altro, una rappresentazione ad arte mandata in onda facciano da scudo a un quadro di debolezze, incertezze, mondi irreali che costituiscono invece, tenuti insieme dalla colla del potere, una vuotezza che si ripercuote negativamente sul sistema paese.

La stessa tenuta della maggioranza che, ad ogni piè sospinto, si dichiara salda e non in discussione mostra, giorno dopo giorno, tutte le proprie lacerazioni. Riteniamo che, se le prossime scadenze elettorali regionali vedranno prevalere il fronte che Schlein cerca pazientemente di costruire, la campanella della sfiducia comincerà a suonare.

Le difficoltà vengono anche ammesse, ma con sgravio di responsabilità di chi per forza ne porta il peso preponderante, vale a dire il governo. Le colpe sono sempre degli altri, passati o presenti; se potessero aggiungerebbero anche la categoria dei futuri. Le giustificazioni che vengono addotte sono sempre le stesse: il governo è accerchiato, i leader del partito di maggioranza sono accerchiati. La musica viene suonata in continuazione e se a loro suona come un motivo forte di difesa, in realtà è una testimonianza di debolezza, un non riconoscere lo stato dei fatti, insieme alla paura che tutto scoppi loro tra le mani da un momento all’altro. Il fatto che si cominci ad avanzare l’idea di un rimpasto di governo ne costituisce la prova provata.

Si torna a parlare di nuovo della legge elettorale, le responsabilità pregresse del Pd sul tema sono gravi. Che ci si decida a cambiare la legge vergognosa che abbiamo è positivo, ma il giudizio dipenderà dall’esito se mai il tentativo andrà a fine. Per ora ci par di capire che quanto sull’argomento porta a parlare maggioranza e opposizione è il tentativo di arrivare alla nascita di due blocchi: uno guidato da FdI e l’altro dal Pd: costruire, cioè, un sistema che non si basi su una giusta interpretazione dell’idea di rappresentanza, ma sulla stabilizzazione delle funzioni preminenti dei due partiti.

Se così è, può anche nascere una nuova legge elettorale migliore dell’attuale, ma il principio è sbagliato e idee sbagliate non producono mai soluzioni giuste ai problemi. Considerata la portata della crisi italiana la legge elettorale dovrebbe partire, invece, da un principio che non può prescindere dall’idea dell’Italia che si ha; la questione, tuttavia, non è nemmeno sfiorata.

Ci domandiamo: ma l’idea dell’Italia è riassumibile dall’interesse esclusivo dei partiti leader della maggioranza e dell’opposizione? Che idea della democrazia sottende una tale visione? Comunque la si voglia giustificare, di sicuro prescinde dal punto principale: ricostruire una politica democratica degna di questo nome.

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