Israele l’ha definita una “tv terrorista“. Mesi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e l’invasione di Gaza, l’ha anche oscurata all’interno dei suoi confini. Ma mentre è ormai alle stelle la tensione col Libano e i miliziani di Hezbollah, lo ‘Stato ebraico’ si accanisce di nuovo contro il giornalismo, ancora contro i reporter di Al Jazeera, quelli più impegnati, tra le emittenti mainstream, a raccontare le violazioni commesse dalle Forze di Difesa Israeliane (Idf) ai danni della popolazione palestinese. Così, i soldati israeliani hanno fatto irruzione negli uffici della tv panaraba a Ramallah, in Cisgiordania, ordinandone la chiusura per 45 giorni. “Un atto criminale”, lo ha definito l’emittente in una nota.
Nel momentaneo silenzio internazionale, arriva immediata la condanna di Hamas secondo cui la decisione di Israele di oscurare una tv che considera scomoda non è altro che il tentativo di nascondere le perdite del proprio esercito nel corso delle operazioni nei Territori Occupati. In un comunicato, il membro del politburo del partito armato palestinese, Izzat al-Rishq, afferma che la misura è una “violazione della libertà di stampa, una rappresaglia contro il ruolo dell’emittente nello smascherare i crimini dell’occupazione“. Il comunicato, ripreso dal Times of Israel, parla poi di “un tentativo di coprire le azioni della resistenza a Gaza e di Hezbollah che prende di mira le basi militari all’interno” del territorio israeliano.
Come detto, Al Jazeera può essere considerato un obiettivo di Israele in questa guerra, un nemico da zittire, se non addirittura da colpire come se fosse un target sensibile. Non solo, come dimostrano l’uccisione in Cisgiordania della reporter Shireen Abu Akleh nel 2022 e il bombardamento della sede di Gaza City nel 2021, la tv panaraba è considerata una spina nel fianco per l’esercito israeliano. Così, dopo l’invasione di Gaza, sono stati numerosi i giornalisti di AJ uccisi dalle bombe dello ‘Stato ebraico’, mentre il segretario di Stato americano, Antony Blinken, invece di difendere la libertà di stampa volava in Qatar per chiedere all’emirato di imporre una linea meno critica alla tv nel raccontare ciò che stava accadendo nella Striscia. Poi, ad aprile, Tel Aviv istituzionalizza la sua guerra all’emittente: la Knesset, su pressione del primo ministro Benjamin Netanyahu, approva la cosiddetta “legge Al Jazeera“ che permette al governo di chiudere le emittenti straniere ritenute un pericolo per la sicurezza nazionale e di confiscarne le attrezzature.
Detto, fatto. Appena un mese dopo l’esecutivo Netanyahu ha ordinato la chiusura della sede israeliana della tv e la confisca di tutti i materiali: “Il governo da me guidato ha deciso all’unanimità che il canale di istigazione Al Jazeera sarà chiuso in Israele”, aveva scritto su X il premier che in passato aveva definito la tv “canale terroristico”. Non solo, due settimane dopo ha tentato di zittire anche un altro media che stava cercando di raccontare la sanguinosa operazione militare dello ‘Stato ebraico’ nella Striscia di Gaza chiudendo la diretta della Associated Press al confine con l’enclave palestinese. Un provvedimento durato poche ore grazie all’intervento degli Stati Uniti. Al-Jazeera, invece, non gode evidentemente degli stessi buoni uffici.