Cronaca

La Mestre di Giacomo ostaggio del crimine. Dal suo centro sociale al sociologo: “Perché non è (solo) questione di ordine pubblico”

Una città fuori controllo. Mestre, ovvero la terraferma veneziana, è ormai diventata una realtà ai confini della legalità e della possibilità dei cittadini di vivere tranquillamente. L’uccisione di Giacomo Gobbato, 26 anni, attivista del centro sociale Rivolta, è l’ultimo episodio. Il più drammatico. Ha perso la vita perché, assieme al compagno Sebastiano Bergamaschi, ha cercato di fermare un rapinatore moldavo che aveva aggredito una donna. Inattesa, ma violenta la reazione del malvivente. Ha estratto un coltello e ha cominciato a menare fendenti. Giacomo è stato colpito all’addome ed è deceduto tre ore dopo in ospedale. Sebastiano se l’è cavata con alcune ferite alle gambe e il giorno dopo ha potuto tornare a casa. La compostezza con cui hanno reagito i ragazzi dei centri sociali è encomiabile, ma le loro parole costituiscono anche una lucida analisi di quello che sta accadendo nell’entroterra lagunare, pienamente condivisa dal sociologo Gianfranco Bettin, già prosindaco di Venezia, oggi consigliere per la lista Verde Progressista. Non sono solo attivisti-contro qualcosa, come vengono definiti da chi non capisce le loro proteste: rivolte contro le case sfitte, il caro alloggi, l’inquinamento (e l’inceneritore), le grandi navi, lo spaccio, il degrado. In questo caso, Giacomo Gobbato ha dimostrato un coraggio e una generosità assoluti. Non a caso il prefetto Darco Pellos, all’uscita del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, riunitosi d’urgenza, ha commentato: “Ci inchiniamo di fronte al valore di chi ha perso la vita in un atto tanto altruistico”.

“Non si è girato dall’altra parte” – I suoi compagni: “Giacomo è morto perché non si è girato dall’altra parte, non ha fatto finta che tutto andasse bene, è morto perché era un fratello generoso che lottava contro le ingiustizie, per un mondo senza discriminazioni. É così che vogliamo ricordarlo, nelle sue e nelle nostre lotte”. Poi hanno aggiunto. “Questo per noi è il tempo del dolore. Troppo dolore, un dolore che toglie le parole. Quello che pensiamo, tutto quello che proviamo, troveremo il modo di dirlo. A breve. Ora diciamo solo che esigiamo di non essere usati da chi semina odio. C’è un colpevole. È una persona, una singola. Non importa dove sia nato o di che colore abbia la pelle. E tutto questo succede in una città abbandonata da anni a se stessa”. Non chiedono vendette. “Non accettiamo strumentalizzazioni. E non le accettiamo per Giacomo che sarà sempre con tutti noi e per Sebastiano che è con il cuore a pezzi. A Giacomo, che nella sua giovane vita ha sempre lottato per una società inclusiva, multiculturale, antirazzista lo dobbiamo. Ciao Giacomo sarai sempre con noi”.

Mestre capitale della droga – Pochi giorni fa un’inchiesta del “Sole 24 Ore” ha fatto entrare Venezia nella “top ten” (al nono posto) delle città ostaggio della criminalità. I tossicodipendenti sono più di 2.500, i morti per droga costituiscono un tragico record nazionale. È a questi dati e alla sua esperienza nel combattere spaccio e degrado, dalla parte della politica, che si aggancia il sociologo Bettin. Più che un’analisi, è una realistica autopsia di ciò che è Mestre oggi e di come l’amministrazione comunale cerchi di affrontare il fenomeno. “Giacomo, ma anche Sebastiano sono stati i motori della rete ‘Riprendiamoci la città‘, che un anno e mezzo fa ha portato in piazza cinquemila persone, cittadini, abitanti, commercianti, giovani. Hanno interpretato il rifiuto della demagogia securitaria, immergendosi nei processi sociali. La delinquenza si affronta con la polizia e i vigili urbani, che non servono con il degrado sociale”. Giacomo Gobbato lo aveva capito. “Per questo era impegnato nelle assemblee di quartiere, coinvolgeva i cittadini per affrontare i problemi della droga, della microcriminalità, dello spaccio”.

“Non bastano le retate” – Bettin, che vede da vicino le scelte dell’amministrazione del sindaco Luigi Brugnaro, continua in modo impietoso. “La politica crede che siamo di fronte a un problema di ordine pubblico, risolvibile con la repressione. Se la città ha tremila tossicodipendenti, bisogna rapportarsi con una questione sia sociale che criminale, con i criminali che campano sul disagio sociale. La ricaduta si vede nella piccola criminalità di cui sono vittime anche residenti e commercianti. Le zone del degrado di Mestre le conosciamo. Il problema è che la politica chiede numeri, operazioni. Il sindaco Brugnaro investe su questi ultimi, mentre prima della sua elezione Venezia puntava sulla prevenzione sociale. Eravamo un modello studiato in tutta Italia”.

“Servizi a bassa soglia” – Li chiamavano “servizi a bassa soglia”, nelle strade, nei quartieri poveri, a contatto con un’umanità dolente. “Noi li facevamo, fino al 2015: non perché volevamo essere buoni, ma perché si trattava di interventi più efficaci. I delinquenti si nascondono bene dentro una massa di poveracci, continuando il loro business irrinunciabile. Il problema è togliere acqua ai trafficanti, tutto il resto è demagogia”. Infatti, dopo una retata, un arresto, altri sono pronti a prendere i posti rimasti vuoti. “Con l’amministrazione Brugnaro sono stati assunti soprattutto vigili urbani, pensando di risolvere così il problema. – conclude Bettin – Pochissimi gli operatori sociali. La stessa parabola riguarda la Regione con i Ser.D (Servizi Ambulatoriali Dipendenze, ndr). Il degrado pone due ordini di problemi, quello criminale e quello sociale. Affrontando solo il primo, non si può pensare di risolvere anche il secondo”.