La scorsa settimana a Los Angeles Donald Trump ha spiegato che, “se ci fosse un conteggio onesto dei voti in California, io vincerei la California”. Qualche giorno dopo, in un comizio a Uniondale, Long Island, l’ex presidente ha ripetuto la storia dei brogli che hanno falsato il voto del 2020, strappandogli la giusta vittoria. Si tratta di un tormentone ripetuto in modo ormai ossessivo da Trump – in TV, nei comizi, alle conferenze stampa, nei dibattiti – che non è mai stato confermato da nessuna inchiesta giudiziaria, ma che è diventato una certezza assoluta per larghi settori dell’elettorato repubblicano. Ancora nell’agosto 2023 (dati di un sondaggio CNN), il 69 per cento dei repubblicani riteneva che la vittoria di Joe Biden nel 2020 fosse stata illegittima. Il problema è che la cosa non riguarda solo il passato. Ci sono segnali ormai molto chiari che la storia dei brogli elettorali potrebbe pericolosamente ripetersi anche nel 2024.
Ha detto Trump in una recente intervista a CBS: “Sono assolutamente pronto a riconoscere il risultato delle prossime elezioni, se saranno libere e regolari”. Quel se ipotetico è rivelatore. È infatti più che probabile che il candidato repubblicano non riconoscerà il risultato elettorale, soprattutto nel caso dovesse essergli sfavorevole. Del resto, Trump ha difficilmente accettato l’esito delle elezioni, anche quando le ha vinte. Alle presidenziali del 2012 definì “una farsa” la vittoria di Barack Obama su Mitt Romney. Nel 2016 Ted Cruz prevalse nelle primarie repubblicane dell’Iowa e Trump gridò alla “frode”, chiedendo che venissero annullate e ripetute. Alla fine, nel 2016, riuscì a vincere il confronto presidenziale con Hillary Clinton, ma nemmeno in quel caso riconobbe il risultato. A Trump, che aveva vinto grazie al sistema dei Collegi Elettorali, non andò giù che Clinton lo avesse battuto nel voto popolare. “Ha avuto più voti di me perché in milioni hanno votato illegalmente”, tuonò. Sappiamo poi quello che è avvenuto nel 2020. Trump, dopo aver fatto pressioni indebite su funzionari e politici locali per invalidare il voto, chiamò a raccolta i suoi sostenitori e li invitò a marciare sul Congresso per bloccare la certificazione della vittoria di Biden.
Sarebbe un errore pensare che l’accusa di “rigged elections” sia rimasta in questi anni a livello di mito e di retorica politica. Alle parole, sono seguiti i fatti. Il Brennan Center for Justice della New York University rileva che sono almeno 28 gli Stati americani dove negli ultimi quattro anni i repubblicani hanno approvato o cercato di approvare restrizioni al diritto di voto. La cosa riguarda, in particolare, gli swing states, gli stati contesi. La Georgia, per esempio, ha fatto passare leggi che limitano il voto per posta e riducono il numero dei contenitori pubblici cui affidare la propria scheda. In North Carolina hanno deciso che un elettore possa essere cancellato dalle liste dei registrati se il suo indirizzo risulta anche solo una volta non verificato. In Wisconsin (ma la misura è stata bloccata dal governatore democratico, Tony Evers), i repubblicani hanno tentato di rendere più stringenti i controlli su chi può votare e chi no: per esempio, verificando la cittadinanza dell’elettore sulla base dei dati della Division of Motor Vehicles (ma i dati della motorizzazione non sono spesso non aggiornati sui cittadini naturalizzati). In Texas e Florida sono ora più rigide le prove di identificazione per registrarsi al voto. E in diversi Stati si è anche tentato – qui sono dovuti intervenire i tribunali – di impedire di portare acqua e cibo a chi, anche per ore, si mette in fila per votare. Il risultato è comunque uno. Nel 2024 sarà più difficile votare rispetto al 2020.
Le restrizioni si fondano su un’idea ampiamente diffusa tra i conservatori USA: che i brogli, in particolare quelli operati dai migranti illegali, siano molto diffusi e che alla fine condizionino le elezioni. Si tratta di un’idea non supportata da alcuna ricerca indipendente. Uno studio del 2017, sempre del Brennan Center for Justice, rilevava che era dello 0,0001 la percentuale di noncitizen che aveva votato nel 2016 (proprio le elezioni che, secondo Trump, avrebbero visto la partecipazione di milioni di illegali). Stessa assenza di prove di illegalità diffuse nel 2020. Nonostante questo, il mito della “Big Lie”, la grande menzogna della vittoria di Joe Biden, non ha smesso di conquistare adepti e consensi. In queste settimane lo speaker della Camera, Mike Johnson, ha cercato di far passare, su pressione di Donald Trump, il “Save Act”, una misura che rende illegale registrarsi al voto se non si è cittadini. Si tratta di una mossa chiaramente strumentale. Negli Stati Uniti la cosa è già reato, ma in fondo non importa. La richiesta serve a tenere viva la propaganda sul voto illegale e a infiammare il nocciolo duro dei sostenitori di Trump, che trovano conferma a due delle loro più radicate certezze. La prima, che la vittoria di Biden sia stata illegittima. La seconda, che gli Stati Uniti siano messi sotto scacco da parte di orde di illegali, che non rispettano la legge.
Ci sono comunque già i segni che il 2024 potrebbe essere una riedizione del 2020. Probabilmente peggio. Il “Center for Media and Democracy” di Madison, Wisconsin, ha calcolato che nel 2024, in otto swing states, saranno coinvolti almeno 239 election deniers, coloro che hanno più volte detto di non riconoscere la validità delle scorse presidenziali. Si tratta di politici che si presentano alle elezioni per Congresso o Assemblee statali, ma si tratta soprattutto di funzionari locali, che dovranno sancire la legalità delle operazioni di voto. Un gruppo di volti noti del movimento conservatore USA, capitanati da Danielle D’Souza Gill, ha anche pianificato la settimana della “Only Citizen Vote Coalition”, eventi e incontri per capire come combattere il fenomeno delle frodi elettorali: tra le proposte al vaglio, l’organizzazione di ronde di attivisti attorno ai seggi. Si moltiplicano online i siti dedicati proprio alla questione delle frodi, dall’“Election Transparency Initiative”, guidato dall’ex attorney general repubblicano della Virginia, Ken Cuccinelli, all’ “Election Integrity Network” di Cleta Mitchell, già consulente e avvocata di Trump, presente alla famigerata telefonata in cui Trump chiese al segretario di stato della Georgia di trovargli i voti per battere Biden. Mitchell in questi mesi ha organizzato una serie di riunioni su Zoom con militanti locali cui sono state date indicazioni su come diffondere teorie cospiratorie sulla partecipazione al voto dei migranti in molti Stati americani.
Si potrebbe andare avanti ancora. Il Guardian ha per esempio reso pubbliche le mail che si sono scambiate David Hancock, membro del bord of elections della contea di Gwinnett, in Georgia, e Januce Johnston, che fa parte della commissione elettorale della Georgia. I due, insieme ad altri funzionari repubblicani locali, si starebbero organizzando per mettere in discussione i risultati, ancor prima che inizi il conteggio dei voti. Insomma, la vasta galassia del MAGA trumpiano si muove, ormai da mesi, per mettere in discussione qualcosa che non è ancora avvenuto: il voto presidenziale e il suo esito. Probabile che il 5 novembre sera, quando i seggi uno Stato dopo l’altro chiuderanno, inizierà qualcosa di ancora sconosciuto e inquietante. Nel clima teso di questi mesi, tra tentati assassini e una retorica sempre più violenta, non sarà un momento facile per la democrazia americana.