Per chi si domanda perché la questione del fracking sia centrale nella campagna elettorale americana e perché in materia Kamala Harris abbia fatto inversione di marcia, la risposta va cercata nell’interdipendenza tra tecnologia, energia e sicurezza nazionale. E vediamo come si sviluppa questa interdipendenza.
Negli ultimi anni si è passati da cluster computers che costano dieci miliardi di dollari a quelli da cento miliardi di dollari, fino agli imminenti nuovi modelli che richiederanno una spesa di mille miliardi di dollari. I cluster sono giganteschi computer in grado di processare l’evolversi dell’intelligenza artificiale. Ogni sei mesi l’avanzare della tecnologia, dunque, aggiunge uno zero ai costi di costruzione dei cluster e come cresce la spesa così gravita il consumo energetico e, conseguentemente, la corsa per assicurarsi l’accesso a fonti energetiche si fa più serrata.
A differenza dell’Europa, gli Stati Uniti sono un esportatore netto di energia. Entro la fine del decennio, la produzione di elettricità degli Stati Uniti sarà cresciuta in modo esponenziale grazie ai campi dello shale della Pennsylvania dove si fa il fracking, ma anche grazie alle centrali solari del Nevada. Nel giro di pochi anni si prevede che gli Usa produrranno centinaia di milioni di Gpu (Graphic Processing Unit) addizionali.
Anche le utility statunitensi si sono entusiasmate e prevedono nei prossimi 5 anni una crescita della domanda del 5%, che potrebbe essere inferiore a quella reale man mano che ci avviciniamo alla fine del decennio e all’inizio del prossimo. Il cluster da 100 GW e da un trilione di dollari da solo richiederà più del 20 per cento dell’attuale produzione di elettricità degli Stati Uniti. Ma per gli Stati Uniti questo aumento è fattibile grazie all’abbondanza di gas naturale. Per il cluster da 100 GW basterebbe il campo di shale di Marcellus/Utica in Pennsylvania, che produrrà circa 36 miliardi di piedi cubi di gas al giorno e produrrebbe poco meno di 150 GW.
Le grandi aziende americane sono ben felici di far parte della rivoluzione tecnologica e di investire trilioni di dollari nel settore della tecnologia. Parallelamente, l’industria della sicurezza nazionale americana vive una rinascita che non vedeva da mezzo secolo. Denaro pubblico e privato viene investito nella produzione in “armi intelligenti e sorveglianza”. Il motivo è presto detto: il mantenimento del primato americano nel settore tecnologico è essenziale per la sicurezza nazionale del paese, un concetto che Trump e Harris condividono. Tecnologia e sicurezza nazionale, insomma, vanno a braccetto.
Anche la Cina, il concorrente principale del primato americano, sta lavorando per assicurarsi l’energia per il grande balzo in avanti nel cluster computing: anche la Cina vede l’industria della tecnologia quale elemento fondamentale per la sicurezza nazionale. Nell’ultimo decennio, la Cina ha raggiunto all’incirca la stessa capacità elettrica degli Stati Uniti. Mentre negli Stati Uniti l’esplorazione e lo sviluppo sono condizionati da revisioni ambientali, permessi e regolamenti la cui concessione può tardare decenni, in Cina possono essere assegnati molto rapidamente. Sembra quindi abbastanza plausibile che la Cina sarà in grado di costruire semplicemente più degli Stati Uniti sui più grandi cluster di formazione.
Date queste premesse è irrilevante chi vinca la corsa alla Casa Bianca; l’egemonia americana dipende dall’equilibrio tra produzione energetica, innovazione tecnologica e sicurezza nazionale e in nome di questo equilibrio non si esiterà a sacrificare l’ambiente. Ecco spiegato come la “verde” Kamala Harris sia diventata una dei sostenitori del fracking in Pennsylvania.