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Venezuela, i numeri della repressione. Per l’Onu è una delle ‘crisi di diritti umani più gravi’

A radice del processo elettorale che ha visto il suo apice a fine luglio scorso, si è acuita la repressione della dissidenza in Venezuela. In questo senso, sia le Nazioni Unite, che la Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) che l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) hanno denunciato massive e sistemiche violazioni dei diritti umani nel paese sudamericano. “Il governo del Venezuela ha intensificato drammaticamente i suoi sforzi per sconfiggere tutta l’opposizione pacifica al suo mandato, mantenendo la nazione in una delle crisi dei diritti umani più gravi della storia recente”, queste le parole con le quali è stato presentato ieri il report della Missione internazionale indipendente della Nazioni Unite per accertare i fatti sulla Repubblica Bolivariana del Venezuela. Marta Valiñas, presidentessa della Missione, è stata lapidaria nel definire la situazione terrificante nella quale si trova il paese sudamericano.

La CIDH dal canto suo aveva già ha lanciato l’allarme mercoledì 28 agosto contro quelle che ha definito l’attuazione di “pratiche di terrorismo di Stato” che includono violazioni dei diritti fondamentali in Venezuela come repressione, arresti arbitrari e sparizioni di manifestanti dell’opposizione che sono scesi in piazza per chiedere trasparenza nei risultati delle elezioni presidenziali del passato 28 luglio.
Nel suo discorso (testo disponibile qui) pronunciato nella riunione straordinaria del Consiglio Permanente della OEA sulla situazione dei diritti umani in Venezuela, la presidentessa della CIDH Roberta Clarke, ha affermato che: “Le manifestazioni sono state represse duramente… in un contesto di assoluta impunità” perché “gli organi di controllo rispondono al regime e fanno parte della strategia repressiva dello Stato”.

L’ondata di arresti senza precedenti in Venezuela (per la brutalità e velocità, non per il metodo) aveva portato in carcere in un solo mesa, dal 29 luglio fino al 26 agosto, 1581 persone (ad oggi sono salite a 1673). Questi dati sono offerti dalla ong Foro Penal, che da anni segue la questione delle detenzioni arbitrarie e dei prigionieri politici nel paese sudamericano, dati riconfermati anche dalla stessa Clarke che nel suo intervento, ha parlato di almeno 23 vittime a causa della violenza delle forze pubbliche contro i manifestanti durante le proteste.

Tutte vittime di colpi di arma da fuoco: otto di questi decessi sono attribuibili alle forze militari e due alla polizia. Gli arresti, spesso effettuati in piena violazione di ogni protocollo e procedura (dando origine a veri e propri sequestri), hanno colpito manifestanti, attivisti, giornalisti, persone vicine alle due figure di spicco dell’opposizione (Edmundo Gonzalez Urrutia ora rifugiatosi in Spagna e Maria Corina Machado) e soprattutto giovani in situazione di vulnerabilità.

Il Foro Penal ha denunciato, così come la CIDH e altri organismi, la particolare repressione che il governo di Maduro ha riservato per gli adolescenti, contabilizzando almeno 114 arresti dall’inizio delle proteste. In questo senso, solo un mese dopo queste detenzioni illegali, la stessa ong venezuelana ha dato conto della scarcerazione (con restrizione di movimento) di 86 adolescenti di età compresa tra 14 e 17 anni.

Il Venezuela di Maduro vive però anche in un clima di restrizione informativa, in cui le misure governative minacciano l’esercizio stesso del giornalismo indipendente. In questo senso è arrivata la denuncia della ong Reporteros Sin Fronteras (RSF), che dall’inizio della campagna elettorale, ha contabilizzato l’arresto di otto giornalisti in diversi stati del paese sudamericano, accusati di “terrorismo” e “incitamento all’odio”. Si tratta di Luis López, Ismael Gabriel González, Yuosnel Alvarado, Paúl León, Deysi Peña, José Gregorio Camero, Eleángel Navas, Gilberto Reina e Ana Carolina Guaita, che affrontano accuse per reati che possono produrre condanne da 12 a 20 di carcere.

Artur Romeu, direttore di RSF in America Latina ha dichiarato: “Condanniamo fermamente questi arresti e chiediamo il rilascio dei giornalisti. Il loro arresto per lo svolgimento del loro lavoro invia un messaggio terrificante a tutti coloro che difendono il diritto all’informazione nel contesto della grave crisi politica che il Paese sta attraversando. La generalizzazione e banalizzazione delle accuse di terrorismo e incitamento all’odio contro i professionisti dei media, illustrano la volontà del regime di Nicolás Maduro di censurare i media, in totale violazione dei principi democratici fondamentali”. Una situazione ‘solo’ peggiorata e acuitasi con il processo elettorale per l’elezione del nuovo presidente, giacché la stessa ong, aveva più volte denunciato una campagna di intimidazione contro la stampa, in un paese che ricopre la posizione 156 (su 180) nel report sulla libertà di stampa.

A tutto quanto detto si aggiunge la legge chiamata “anti ong”, approvata definitivamente dal governo di Maduro il 15 agosto scorso, in pieno subbuglio sociale per l’accusa di brogli elettorali: per i quali ancora oggi aspettiamo che il CNE mostri gli atti delle votazioni come richiesto da Brasile, Colombia, Usa e Ue, tra gli altri.

Una legge in gestazione da tempo, che elimina (o riduce di molto) lo spazio di manovra delle ong e che, come denunciato da Amnesty International, mira (così come altre azioni del governo Maduro) a soffocare lo spazio civico, per mettere a tacere chi denuncia da anni esecuzioni extragiudiziali, persecuzione politica, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e torture sistematiche. Spazi e organismi vitali per documentare i crimini di diritto internazionale che vengono commessi nel paese sudamericano e che hanno portato ad una apertura di un’indagine della Corte Penale Internazionale contro Maduro.

Questo il commento di Ana Piquer, direttrice per le Americhe di Amnesty International: “L’approvazione di questa legge mette a rischio l’esistenza e il funzionamento delle organizzazioni comunitarie, umanitarie e per i diritti umani con articoli ambigui che servirebbero come base per sanzionarle in modo sproporzionato e persino arbitrario rendendole illegali su vasta scala”.