Economia

Istat migliora le stime sui conti: il debito/pil 2023 scende al 134,6% e il deficit al 7,2%. Il governo aggiorna il Piano di bilancio

Come da attese, la revisione delle stime annuali Istat porta con sé qualche decimale di pil in più migliorando i dati sull’andamento del deficit e debito dello scorso anno. Per il 2024 e 2025 cambia pochissimo, ma il governo contava anche su questo minuscolo aiuto dato che trovare le coperture per la prossima manovra si è rivelato complicatissimo. La prima tappa sarà il ritorno in consiglio dei ministri probabilmente mercoledì di una versione aggiornata – “rifinita“, fa sapere il ministro Giancarlo Giorgetti – del Piano strutturale di Bilancio esaminato in bozza la scorsa settimana: si tratta del nuovo documento in cui viene cifrata la stretta fiscale che si intende imprimere nei prossimi sette anni per aggiustare i conti pubblici come richiesto dal nuovo Patto di stabilità. I dati Istat erano attesi anche per valutare “se è necessario chiedere un contributo di solidarietà ad alcuni settori che sono nelle condizioni di versarlo perché hanno realizzato utili molto rilevanti in questi anni”, come anticipato dal capogruppo alla Camera di FdI Tommaso Foti.

La revisione generale dei conti economici e degli aggregati di finanza pubblica comunicata lunedì dall’istituto di statistica ha comportato un miglioramento dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil che, per il 2022 e per il 2023, si attesta rispettivamente a -8,1% e -7,2%: il deficit di entrambi gli anni dunque è inferiore rispetto ai -8,6% e -7,4% stimati in aprile. Il debito/pil si riduce poi al 134,6% contro il 137,3% di aprile. Il saldo primario (indebitamento netto meno la spesa per interessi) sempre nel 2023 è negativo per 74,7 miliardi, il 3,5% del Pil.

Nel 2023 il Pil ai prezzi di mercato è stato di 2.128 miliardi correnti, con una revisione al rialzo di 42,6 miliardi rispetto alla stima di marzo scorso. Per il 2022 il livello risulta rivisto verso l’alto di 34,2 miliardi e per il 2021 di 20,5 miliardi. Quanto al pil in volume, per effetto della revisione del dato sull’anno prima nel 2023 è salito solo dello 0,7%, 0,2 punti percentuali in meno rispetto alla stima del marzo scorso. Ma si è attestato a un livello per la prima volta superiore al massimo raggiunto prima della crisi finanziaria del 2008. Dalla revisione dei valori ai prezzi di base emergono aumenti soprattutto per il pil dei servizi, delle Attività professionali, scientifiche e tecniche e delle costruzioni. Nel 2022 invece l’aumento si attesta a +4,7%, in rialzo di 0,7 punti percentuali, e nel 2021 all’8,9%, con una revisione di +0,6 punti percentuali.

Venendo alle componenti del pil, nel 2023 gli investimenti fissi lordi sono aumentati in volume dell’8,5%, i consumi finali nazionali dell’1,2%, le esportazioni di beni e servizi dello 0,8% mentre le importazioni sono scese dello 0,4%. Il valore aggiunto in volume nel 2023 è diminuito dell’1,6% nell’industria in senso stretto e del 3,5% nel settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, mentre è aumentato del 6,7% nelle costruzioni – contro una stima di marzo ferma a +3,9% – e dell’1,1% nei servizi, in riduzione rispetto al +1,6% stimato a marzo.

“La questione, certificata oggi dall’Istat, è tanto semplice quanto indigesta per il centrodestra neoliberista, austero ed elitario”, commentano i parlamentari M5S delle commissioni Bilancio e Finanze di Camera e Senato. “Nel 2021-2022, anni più incisi dalle politiche economiche del governo Conte, la crescita del Pil ha fatto registrare un autentico boom, ulteriormente incrementato dall’Istituto di statistica. Per il 2021 siamo passati dal +7 al +8,3% e adesso al +8,9%. Per il 2022 siamo passati dal +3,7 al +4 e adesso al +4,7%. Poi inizia l’era Meloni. E capita che per il 2023, anno toccato dalla prima manovra rigorista dei sovranisti alle vongole, la già misera previsione di crescita venga ora abbassata dal +0,9 al +0,7%”. Nel 2021-2022, ricordano, “erano in vigore tutte le misure espansive e di protezione sociale varate dal governo Conte, da Transizione 4.0 al Superbonus, da Decontribuzione Sud al potenziamento del Fondo centrale di garanzia per le pmi, dal Reddito di cittandinanza al meccanismo della cessione dei crediti fiscali”.