Politica

Lavoro e stranieri, il governo vede i sindacati per riformare i decreti flussi. Cgil e Uil: “Ma la Bossi-Fini non la vogliono toccare”

Poche luci e molte ombre dal tavolo che oggi, a Palazzo Chigi, ha riunito il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, e i rappresentanti di Cisl, Cgil, Uil, Ugl, Usb, Confsal, Cisal e Confintesa. Perché, disse Giorgia Meloni a inizio estate, “i decreti flussi non funzionano. Anzi, sono in mano alla criminalità”. A quelle parole la premier fece seguire un esposto al procuratore nazionale antimafia sui presunti ingressi truffa di lavoratori agricoli stagionali, e l’impegno a rivedere l’attuale normativa che regola i decreti flussi. Due le strategie del governo. Il contrasto al crimine attraverso la verifica dei datori che presentano le domande per l’assunzione di lavoratori. E la riforma del click day, con l’aumento delle date a disposizione delle imprese per evitare l’effetto lotteria e che le lungaggini della burocrazia costringano le imprese a rinunciare e non perfezionare l’assunzione di chi ormai è giunto in Italia. “Intenzioni positive ma insufficienti sia a soddisfare la richiesta delle imprese, che a tutelare i lavoratori stranieri”, riflettono alcune delle rappresentanze sindacali presenti. Quanto alla Bossi-Fini, la legge che da oltre 20 anni obbliga il datore a individuare il lavoratore quando questo è ancora nel suo Paese, Cgil e Uil sgomberano il campo dall’ipotesi di una riforma: “Nell’incontro è emerso chiaramente che proposte aventi ad oggetto modifiche della Bossi-Fini non sono considerate argomenti utili alla discussione, anzi”.

“E’ da ritenere che i decreti flussi – ha affermato Mantovano durante l’incontro – siano stati utilizzati come meccanismo per consentire l’accesso in Italia, per una via formalmente legale, a persone che non ne avrebbero avuto diritto, verosimilmente dietro pagamento di somme di denaro. C’è una conferma nelle indagini in corso, che stanno facendo emergere questa realtà”. L’ipotesi di infiltrazioni criminali, ha proseguito, “appare avvalorata dalla constatazione che la stragrande maggioranza degli stranieri entrati in Italia negli ultimi anni avvalendosi del decreto flussi proviene da un unico Stato, il Bangladesh, in relazione al quale le autorità diplomatiche hanno prospettato l’effettiva esistenza di fenomeni di compravendita di visti per motivi di lavoro”. Precisando “che il Bangladesh è contemporaneamente il Paese dal quale fino al 20 settembre 2024 proviene la maggioranza relativa di ingressi irregolari. Ciò presuppone l’esistenza di un collegamento tra organizzazioni presenti nello Stato di partenza e nello Stato di arrivo”. Una “frode” che il governo intende contrastare. “Gli aspetti su cui intervenire – ha sintetizzato Mantovano – sono quelli della verifica delle domande di nulla osta al lavoro, del meccanismo del click day, della definizione delle quote, del rafforzamento dei canali di ingresso speciali e più in generale della collaborazione con le parti sociali e le associazioni di categoria allo scopo di definire i fabbisogni di manodopera”.

Pur apprezzando un confronto troppo a lungo rinviato, c’è chi ha evidenziato che la “manutenzione” dei decreti flussi servirà a poco se non è parte di “un approccio più generale che riguardi le politiche migratorie”, concordano la segretaria confederale della Cgil, Maria Grazia Gabrielli e il segretario confederale della Uil, Santo Biondo, entrambi presenti all’intorno. Al contrario, “è stato chiarito che non bisogna aprire altri fronti di discussione, invitando tutti a concentrarsi sul sistema dei decreti flussi per rimuovere gli elementi di diffiicoltà, senza incrociare il tema con altro, pena il rischio di non cogliere l’opportunità”, ha spiegato Gabrielli al Fatto. “Sicuramente grave quanto riferito dal governo sulla criminalità, ma il vero problema è altrove”, avverte Biondo. “Il meccanismo per cui domanda e offerta devono incontrarsi “al buio” non ha mai funzionato. Né la pubblica amministrazione è mai stata in grado di smezzarsi la mole di lavoro che origina da ogni decreto flussi fin dall’inizio. E’ nelle more della burocrazia che viene meno l’esigenza di molte aziende che finiscono per non finalizzare l’assunzione generando una presenza straniera che poi finisce nell’irregolarità e magari ritroviamo in cantieri come quello dell’Esselunga di Firenze“. Di fronte a questo, aggiunge, “la moltiplicazione dei click day è al più una manutenzione, ma non potrà certo rispondere alla reale domanda di lavoro delle imprese, già ora molto più ampia delle quote calcolate dall’ultimo decreto del governo per il triennio 2023-2025, né tutelare lavoratori stranieri dal sommerso e dal caporalato”.

“Intanto non si può far finta di non sapere che qui i lavoratori irregolari ci sono già”, sostiene la segretaria della Cgil Gabrielli, che chiede un sistema di regolarizzazione fuori quota “per consentire l’emersione di tanti lavoratori, garantendo loro un titolo di soggiorno”. “Andrebbe creato un meccanismo incentivante, che dia prospettiva ai lavoratori stranieri non in regola che vogliono emergere”, aggiunge Biondo, che condivide l’esigenza di utilizzare i permessi per attesa occupazione, reintroducendo magari l’istituto del cosiddetto sponsor, quello introdotto dalla legge Turco Napolitano che consentirebbe a un’azienda o un’associazione di garantire, anche economicamente, per chi cerca lavoro e fino all’eventuale rimpatrio. E poi un meccanismo di emersione su base individuale, sempre accessibile, che dia la possibilità a chi rimane senza documenti di mettersi in regola a fronte della disponibilità di un contratto di lavoro. “Ma non possiamo illuderci di approdare a un sistema regolare di ingressi per lavoro con l’attuale politica immigratoria”, sostiene Gabrielli. “Ci vorrebbe del pragmatismo – le fa eco Biondo -, ma va messa da parte una certa propaganda, consentendo ai datori di poter assumere regolarmente in ogni momento dell’anno“. La stessa Uil ha proposto, con buona attenzione da parte del governo, la riattivazione dei Consigli territoriali per l’immigrazione presso le prefetture, “come previsti dalla legge fin dal 1998, perché si riparta dai dati e dalle effettive esigenze che solo i territori sono in grado di esprimere e fotografare”.