Il colpo di spugna del governo è riuscito e, almeno per ora, la Cassazione non metterà i bastoni tra le ruote ai centri per migranti in Albania. Perché non dirà se le contestate ordinanze della giudice Iolanda Apostolico e del collega Rosario Cupri fossero lo scandalo gridato dal governo un anno fa. Il motivo? Dopo aver lanciato il sasso, lo stesso governo ha prima nascosto la mano, abrogando la sua stessa legge (che tanto impeccabile forse non era), e poi si è addirittura ripreso il sasso, rinunciando, il 16 luglio scorso, ai ricorsi contro le ordinanze del tribunale di Catania e chiedendo “la dichiarazione di estinzione del giudizio”. Con un secondo decreto che introduce “una nuova disciplina integrativa”, ha sostenuto il Viminale, ogni cosa era stata risolta e non c’era più motivo insistere coi ricorsi. Altri ritengono che il rinvio della Cassazione alla Corte europea, e la possibilità che questa si esprimesse sulla materia in modo più generale, fosse un rischio per il protocollo Italia-Albania, l’accordo che attuerà oltremare le stesse procedure in frontiera impedite dai magistrati di Catania. Così il governo avrebbe preferito fare marcia indietro. Oggi le sezioni unite civili della Cassazione, con due ordinanze, hanno accolto la marcia indietro e dichiarato “estinto il giudizio” sul ricorso presentato dal ministero dell’Interno e dal Questore di Ragusa che firmò le richieste di convalida bocciate dal tribunale siciliano. Un’occasione mancata per chiarire la compatibilità del cosiddetto decreto Cutro, introdotto dal governo, con la normativa dell’Unione europea in materia di trattenimento di richiedenti asilo. Compatibilità sulla quale le certezze dell’esecutivo parevano granitiche, salvo poi modificare il decreto e scansare il parere della Corte di giustizia europea.
I giudici di Strasburgo erano stati chiamati a pronunciarsi in via d’urgenza sulla garanzia finanziaria di circa 5mila euro che un richiedente asilo avrebbe dovuto versare per evitare di essere trattenuto in un centro alla frontiera in attesa dell’esito dell’iter della domanda di protezione. Ma la Corte di giustizia europea, su parere dell’avvocato generale, lo scorso 26 febbraio non ha accolto la domanda pregiudiziale avanzata dalla Corte di Cassazione sull’applicazione del decreto Cutro decidendone la trattazione con la procedura ordinaria, non ancora iniziata. “Il ritiro della domanda di pronuncia pregiudiziale – affermano le sezioni unite civili della Cassazione nelle due ordinanze – non ingenera dubbi neppure riguardo all’estensione delle competenze della Corte di giustizia, visto che, a fronte del ritiro, resta sempre affidata alla valutazione della Corte la decisione sul se pronunciarsi o meno“. L’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro, che rappresenta alcuni dei migranti protagonisti delle ordinanze di Catania e dei relativi ricorsi del Viminale, si era opposta all’estinzione del giudizio, presentando anche alla Corte europea una serie di osservazioni. Anche in virtù di queste, dunque, i giudici europei potrebbero comunque decidere di rispondere, ma la circostanza è rara. “La questione rimane aperta, non si è risolta – ha commentato oggi Lo Faro -, anche se l’Esecutivo ha modificato quello precedente, il decreto presenta aspetti di non conformità alla Costituzione e alle leggi internazionali. Non ci sono misure alternative diverse dalla esibizione del passaporto o altro documento equipollente e dalla garanzia economica e ciò costituisce un ‘vulnus‘ per i richiedenti asilo. Ho già presentato ricorso contro 3 convalide avvenute a Porto Empedocle, nell’Agrigentino, e la Cassazione dovrà ancora una volta chiarire la questione”, ha spiegato.
Come emerso dalle ordinanze del Tribunale di Catania, che ha peraltro continuato a non convalidare i trattenimenti, la privazione della libertà ai richiedenti asilo va motivata “caso per caso”, come previsto dalle direttive Ue. La cosiddetta cauzione fissata indistintamente a 5mila euro non poteva rappresentare un’alternativa al trattenimento che, dicono le norme europee, può applicarsi solo se ogni alternativa è preclusa. Nella modifica al decreto, la cauzione è diventata più elastica, prevedendo tra l’altro un minimo e un massimo, da 2.500 euro a 5mila, e la possibilità di farsela pagare da familiari già residente in Europa. Una novità che tuttavia, sostengono molti giuristi, non sana il rapporto con le norme europee. Soprattutto se pensiamo a quanto accadrà nei centri che l’Italia si appresta a gestire in Albania. Intanto perché chi non ha mezzi non potrà comunque accedere a quella che resta l’unica misura alternativa al trattenimento, e quindi verrebbe discriminato. Ma soprattutto perché le altre alternative al trattenimento previste dalla direttiva Ue, come l’obbligo di firma, sono di fatto impedite dall’accordo con Tirana, che esclude la presenza dei richiedenti all’esterno del perimetro dei centri gestiti dall’Italia. Ancora, come suggerì Lo Faro al Fatto: “Pensiamo ai migranti portati con le navi direttamente in Albania: qual è in questo caso la zona di frontiera? E quale base giuridica avrà il trattenimento durante il probabile lungo trasporto?”. Questioni già oggetto di nuove ordinanze che una volta di più hanno disapplicato il decreto Cutro, nonostante le correzioni ed evidenziando nuovi elementi da chiarire. Ma a differenza di quanto accadde un anno fa, nessuno grida più allo scandalo, né fa ricorso in Cassazione contro le ordinanze.