Un concerto d’eccezione al Teatro Manzoni di Bologna. Venerdì 20 settembre l’Accademia Filarmonica ha celebrato il ventennale dell’Orchestra Mozart, la compagine creata in Bologna da Claudio Abbado, con l’Ottava e la Nona di Beethoven. Esse hanno completato l’integrale delle nove Sinfonie, un ciclo avviato due anni fa sotto la bacchetta di Daniele Gatti. Anche stavolta sul podio era atteso il direttore milanese; per un’indisposizione, è stato sostituito da un altro grande nome, Sir John Eliot Gardiner. Lo stesso concerto è stato dato il 19 settembre a Ferrara, indi il 21 a Milano per la Società del Quartetto, nella Sala Verdi del Conservatorio.

Differenti nella concezione, le due Sinfonie furono varate a dieci anni di distanza (1814 e 1824). L’Ottava è briosa, elegante, squisitamente delineata nel rapporto fra archi e fiati: coi piedi ben piantati nell’Ottocento, ammicca maliziosa al Settecento, toccando vertici di estro inventivo e sorridente letizia. Per Robert Schumann, “sul piano della profondità umoristica, nessun’altra Sinfonia la eguaglia”. E infatti il secondo tempo, l’‘Allegretto scherzando’ che con l’incessante ticchettio allude al metronomo, appena inventato da Joh. Nepomuk Mälzel, trabocca di spunti burleschi e leggiadri.

Tutt’altra cosa la Nona. Imponente, grandiosa, esorbitante, sommerge l’ascoltatore con cascate di suono: e nell’ultimo tempo mobilita le voci, solisti e coro, sui versi dell’Ode alla Gioia di Friedrich Schiller. Il compositore era ormai del tutto sordo quando l’immensa partitura fu inaugurata a Vienna, il 7 maggio di due secoli fa. La Nona ha tracciato un solco profondo e duraturo, tanto sul piano artistico quanto su quello ideologico, ossia l’esplicito messaggio di fratellanza rivolto ai popoli della Terra. Ha un impianto che nella forma rispetta sì la tradizione sinfonica classica, ma le dimensioni interne e la dirompente novità del Finale la proiettano poderosamente in avanti. Senza la Nona non si comprenderebbero le Sinfonie di Brahms, Mahler, Bruckner, né i drammi musicali di Wagner.

Sir Gardiner è un direttore di alta classe e vasta esperienza, creatore di complessi che hanno primeggiato nella prassi dell’esecuzione ‘storicamente informata’, da Monteverdi al Novecento. Energico, razionale, analitico. Chi ha pratica d’orchestra ne apprezza il gesto diretto, imperioso negli attacchi, morbido ma mai svenevole nel pianissimo. E però nelle due Sinfonie l’esito è stato altalenante. Nella Nona l’esuberanza sonora e la scultorea robustezza sono costitutive (peccato che nella resa acustica del Teatro Manzoni il clangore, potenziandosi, s’inasprisca); non così nell’Ottava, tutta cenni, sorrisi, sussurri. Certe caratteristiche – la verve, i rimandi a rimpiattino, l’arguzia impertinente – sbiadiscono in un’esecuzione scandita e marziale. Beethoven è un autore esigente, tanto la sua eloquenza è multiforme. Non è solo il titano, il rivoluzionario, l’uomo ‘morale’ nell’animo e nel pensiero: è capace di infinita dolcezza, umorismo salace, profonda malinconia. In questo senso l’Ottava è forse la più difficile delle nove sinfonie: un cristallo di Boemia delicato, scalfibile, fragile.

È un rischio che la Nona corre assai meno. Ma certi momenti di straordinaria intensità spirituale non vogliono venir sommersi in un oceano di fragore. “Seid umschlungen, Millionen!” (Abbracciatevi, o moltitudini!) è un momento magico già in Schiller: in Beethoven è un incitamento, una preghiera sospesa, che guarda al cielo, e dal cielo ridiscende sulla terra. In quel passo, da brividi, la musica ammonisce il genere umano. In un attimo esaltante si sprigiona tutta la profondità interiore, estenuata e lunghissima, accumulata nell’‘Adagio molto e cantabile’ (il terzo movimento). Gardiner ha retto la Nona con eleganza e vigoria, ma l’ha tracciata a grandi pennellate più che cesellata. Certo, il direttore, ottuagenario, sfodera l’energia di un trentenne: ammirevole (e invidiabile).

L’Orchestra Mozart è smagliante: magnifici i legni e gli ottoni, perennemente esposti sul filo del rasoio in entrambe le Sinfonie. Valorosi i cantanti, nell’impervia condotta vocale del finale nella Nona, e soprattutto lo splendido coro del Teatro Comunale diretto da Gea Garatti Ansini. Applausi scroscianti, pubblico esultante. Una nota deludente: agli ascoltatori è stato dato un programma di sala privo del testo di Schiller. Ma chi anche lo conoscesse a menadito, almeno un’occhiata di sguincio la deve pur dare. Questo è però un altro problema. Ha a che fare con la divulgazione: ci ritorneremo.

Foto di Marco Caselli Nirmal

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