Mafie

La morte di Antonella Lopez deve far prendere decisioni non più rimandabili

La morte di Antonella Lopez deve scuotere le coscienze, soprattutto quelle di chi ha responsabilità culturali e politiche, perché il tempo che stiamo perdendo si traduce in vite spezzate e desolazione sociale.

Nell’ultima notte d’estate, improvvisa ma non inaudita, è esplosa nel Barese la violenza mafiosa delle giovani leve impazienti e feroci, che per poco sparano e subito postano, carnefici e vittime loro stesse di questa spirale fatta di eccessi reali ed accessi virtuali.
Aveva 19 anni Antonella e una di quelle pallottole le ha reciso un’arteria e la vita, per sempre.

Gli inquirenti temono rappresaglie e monitorano i profili TikTok con l’attenzione che un tempo avrebbero messo su un pedinamento o un telefono intercettato.

Io spero che questo femminicidio mafioso serva a cambiare alcune parole, serva a ritrovarne altre e serva infine a prendere decisioni non più rimandabili.

“La mafia oggi non spara ma corrompe” ecco, forse sarebbe meglio dire che le mafie hanno capito (da un po’) che ammazzare giudici, poliziotti, preti o politici non conviene, meglio evitare clamori, ma che comunque continuano a sparare perché il ricorso alla violenza, agita o minacciata, per piegare le persone, per seminare terrore, omertà e assoggettamento resta il loro Dna, il loro modo di stare al mondo.

Non ci possono essere vittime di serie A e vittime di serie B: cioè vittime che fanno statistica e vittime che non la fanno. Devono fare statistica anche giovani come Antonella Lopez o come Giovanbattista Cutolo, il promettente musicista napoletano assassinato in una notte qualunque di un’altra estate, il 31 agosto scorso. A sparargli, un minorenne.

E poi: le mafie che corrompono (certo che lo fanno!) disponendo di enormi riserve occulte, entrando così nel ciclo del contratto pubblico e accaparrandosi appalti con ribassi irresistibili; le mafie che poi riciclano denaro sporco nell’economia legale, utilizzando i più sofisticati marchingegni tecnologici, senza però disdegnare pizzerie e minimarket, come accumulano i capitali originari che consentono loro tutto il resto?

Con la droga. Non soltanto, ma soprattutto con la droga. Le mafie insomma, per quanto evolute, liquide, finanziarizzate, informatizzate, restano di base “narco-mafie”, concetto che ebbe un ruolo centrale nell’analisi del fenomeno negli anni ’90 e che poi, per tanti motivi, è stato messo da parte. Concetto che andrebbe rispolverato perché contribuirebbe anche, come ho già sostenuto, a farci sentire “nostri” i tanti morti ammazzati (perché le mafie sparano) fuori dai confini nazionali, là dove il ciclo delle droghe comincia, là dove ci vogliono terra, braccia, capannoni, laboratori e strade, là dove il capitale criminale prende la sua prima forma, in Messico, in Colombia, in Afghanistan.

La violenza mafiosa che si abbatte su Antonella Lopez è la proiezione in Italia di quella che ha spazzato via decine di candidati alle elezioni in Messico o che ha tolto di mezzo il magistrato paraguaiano Marcelo Pecci, assassinato durante il suo viaggio di nozze sulla spiaggia di Cartagena in Colombia nel maggio 2022. Dall’altra parte del mondo si usa ancora uccidere magistrati e politici.

Infine le decisioni non più rimandabili.

La tragica vicenda di Antonella Lopez ci sbatte di nuovo in faccia una verità inquietante: laggiù, nel mondo di sotto, sta montando una “questione giovanile” che pretende maggiore attenzione. Da anni magistrati e forze sociali chiedono alla politica di predisporre strumenti normativi che favoriscano l’uscita dai contesti criminali in particolari di minori e donne, senza che questo sostegno alla libera scelta di vivere una vita differente sia necessariamente connesso allo scambio informativo, che ad oggi regola queste vicende. Da anni si chiede una radicale riforma del carcere minorile e più generalmente del sistema penitenziario che purtroppo sempre più frequentemente toglie ai detenuti oltre alla libertà anche la dignità, il che rappresenta una evidente violazione della legalità costituzionale.

Non soltanto questo governo di eredi-al-quadrato (del Duce e di Berlusconi) non ha fatto nulla in tal senso (nel cosiddetto decreto Caivano è stato soltanto introdotto l’obbligo di informare la procura minorile di eventuali situazioni di rischio), ma anzi marcia spedito sulla via della criminalizzazione come risposta alla complessità, al disagio, al dissenso. Da questo punto di vista l’equiparazione della cannabis a basso o nullo contenuto di Thc alle droghe pesanti è un capolavoro!

E così a mettere le mani in questa materia magmatica, incandescente e strategica per il futuro dell’Italia che sono i giovani restano insegnanti, spesso stremati come medici di un pronto soccorso, e un pezzo di “privato sociale” che si inventa ogni giorno l’impossibile in assenza di un quadro normativo di riferimento.

Tra pochi giorni, il 26 settembre, ricorderemo l’assassinio di Mauro Rostagno che pagò con la vita la sua scelta d’amore per la gente di Trapani, per i suoi giovani (che grazie alla tv di Mauro capivano la mafia) e, con lui, le sue attualissime parole: non cerchiamo un posto in questo mondo, ma vogliamo costruire un mondo nel quale valga la pena avere un posto.