Asfissiati da una nube tossica di politicamente corretto, una boccata di ossigeno ce la regala la mostra fotografica di Ellen von Unwerth (Galleria Cinquegrana, Milano, via Settembrini 17, visitabile fino al 16 novembre). Accanto alle sue immagini, vengono mostrate anche quelle, splendide, di modelle più o meno note, realizzate da Helmut Newton che, con un voluto giochino degli espositori, non sono indicate come tali, confondendosi dunque con quelle della von Unwerth per la quale Newton è stato maestro e ispiratore (ovviamente, su richiesta, vengono fornite le attribuzioni): immagini, di entrambi gli artisti – alcune delle quali vengono pubblicate a margine di questo post – fondate sull’Eroticism in fashion photography che è anche il titolo della mostra.

La von Unwerth, fotografa tedesca nonché ex biondissima modella, mi spiega che le ‘ex colleghe’ ritratte nelle sue opere sono donne fiere e coraggiose, perfettamente consapevoli del proprio ruolo nel mondo, e che le pose che agli immancabili moralisti possono apparire ‘sconvenienti’ sono in realtà, per quelle ragazze, motivo di orgoglio: sono femministe nel senso più vero e genuino del termine che si tratti di atteggiamenti e messaggi volutamente e fortemente erotici (le calze nere, i tacchi alti, le mascherine), spesso saffici o di leggero bondage (un sadomaso finto, mai pornografico, ma sempre fra donne).

Gli uomini sono assenti, semplicemente perché alla von Unverth (come a Newton) non interessa fotografarli. La fotografa di Francoforte mi ribadisce di essere assolutamente favorevole al MeToo, ma che le sue modelle sono così predominanti sugli uomini da non averne bisogno: donne orgogliose di essere tali, mai vittime perché a nessuno consentono di sottometterle. Si riferisce, naturalmente, a come le sue modelle appaiono a chi le guarda, mediate dai suoi scatti, e non alla loro vita privata (anche se i due aspetti spesso coincidono, confessa). Ammette infine che Helmut Newton l’ha fotografata solo una volta perché lei, troppo ‘tedesca’, non era il tipo che il Maestro ricercava.

Ed ecco così che si confondono nella mostra immagini di dive come Ava Gardner non più giovane (Newton); Vincent Cassel che morde la gamba velata di Monica Bellucci (von Unverth); Naomi Campbell in versione Baby Woman fotografata a gambe larghe seduta sul water (von Unverth); la meravigliosa gigantografia a colori della top-model americana Kristen McMenamy completamente nuda appoggiata a un muro scrostato, fotografata a Montecarlo da Newton e di Claudia Schiffer per Guess e Linda Evangelista insieme con Kristen Turlington per Vogue Italia (von Unverth).

Non mancano i domestic-nudes newtoniani né alcuni scatti di modelle in versione fetish o bondage (“una pratica sessuale consistente nel legare o immobilizzare il partner, consenziente, nei preliminari erotici o durante il rapporto”, così lo definisce l’insindacabile Treccani).

A questo punto mi pare doveroso citare colei che diede coraggiosamente l’avvio alla difficile scalata delle pin-up, ovvero Betty Page (1923-2008), madre dei tutte le modelle, che a lei dovrebbero essere riconoscenti in eterno. Betty, infatti, in tempi difficili come quelli dell’America degli anni 50 dominata dal bigottismo, passò un mare di guai, persino giudiziari, che costrinsero il capo della sua agenzia fotografica, Irwin Klaw, a ritirarsi e chiudere bottega. Eppure si trattava di foto di (finto) bondage, mai praticato davvero, ma solo mimato.

Niente porno per Betty: ovviamente, oltre al fetish a base di calze nere velate con la riga, stivaletti legati con i lacci, mascherine e ball gag in bocca, per Betty solo foto di nudo sulle spiagge della Florida. Tutto ciò costò alla Page guai non da poco. Ci sono almeno un paio di film biografici da citare: il più recente (trasmesso in Italia da Cielo e da Sky Arte) è il mokumentary La vera vita di Petty Page di Mark Mori che vede, fra gli intervistati anche Ellen von Unwerth; e poi il bel film di Mary Harron, La scandalosa vita di Betty Page (del 2005, reperibile su You Tube), splendidamente interpretato da Gretchen Mol (che ha lavorato anche per per Woody Allen in Accordi e disaccordi).

Infine, numerosi libri fra cui, in italiano, Betty Page, La vita segreta della regina delle pin-up di Lorenza Fruci, Giulio Perrone Editore). Ragazzina nata e cresciuta a Nashville in una famiglia piuttosto disagiate, Betty troverà, da sola, il coraggio di realizzarsi a New York e poi in Florida, riuscendo a divenire una delle pin-up più note d’America, fino a conquistare, a fine anni 50, il paginone centrale di Playboy e a suscitare scandali (si parlò, durante un suo soggiorno a Hollywood, di una storia mordi e fuggi con Katherine Hepburn e persino con Marilyn Monroe).

Sparì a fine anni 50, divenendo quasi introvabile. Mai abbandonò la sua forte vena religiosa che si rafforzerà nella seconda parte della sua vita. Già molto anziana, rilasciò una breve intervista, l’unica della sua vita. Al buio, senza mostrarsi, con una flebile voce da vecchietta, la madre di tutte le modelle confessò: “Non rinnego niente, mi piaceva il mio lavoro di modella, mi sono divertita, e ho cercato di dare il meglio di me”.

Foto autorizzate da Galleria Cinquegrana

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