Dovremo essere grati a La Russa e Tajani perché nella loro finta polemica settembrina ci hanno ricordato l’attualità della questione degli extra profitti di imprese e banche. Qui sta anche la forza della destra nostrana. Tajani rappresenta gli interessi delle imprese, La Russa forse quelli opposti, ma entrambi governano serenamente insieme. Una collaborazione coatta in nome della gestione del potere da far invidia alla vecchia Dc.
La questione della tassazione degli extra profitti sta proprio nel termine extra. Si tratta di una nuova e copiosa ondata di profitti, quantificabile in decine di miliardi, che non deriva dalle capacità manageriali degli imprenditori o da innovazioni, ma semplicemente dal caso fortuito. Sarebbe più opportuno a questo punto parlare di rendita parassitaria, come facevano i vecchi economisti di un tempo.
Questa circostanza fortuita è il conflitto internazionale, la terza guerra mondiale indiretta che da due anni è in corso, che ha alimentato l’inflazione e ha creato circuiti anomali di ricchezza. La loro tassazione sarebbe più che giustificata per due motivi. Il primo, perché si tratta di redditi non guadagnati grazie alle proprie capacità e quindi non meritati. Il secondo, perché andrebbero a coprire l’extra deficit che il sostegno alle imprese ha creato durante la pandemia. Tanto per dare alcuni numeri, prima della pandemia il disavanzo annuale dello stato era di 27 miliardi, saliti a 157 miliardi nel 2020 e a 128 miliardi nel 2021. Una parte di questi soldi, anche sostanziosa, è stata usata per sostenere le imprese.
Oggi queste potrebbero restituire i soldi chiesti e ottenuti secondo uno schema di buon senso: ricevi quando sei in difficoltà e restituisci quando le cose vanno meglio. Ma non sembra che questo sia il caso e Forza Italia è diventata il partito delle imprese e delle banche, salvo poi recuperare risorse tagliando le pensioni. Questi extra profitti non si sono trasformati in investimenti ma sono andati nelle tasche di manager e azionisti. Qualcosa è ritornato anche ai lavoratori con modalità differenti a seconda della loro forza contrattuale, con i bancari come di consueto sugli scudi.
I super profitti sono stati generati dall’inflazione bellica come condizione necessaria, ma non certo sufficiente. A questo ci hanno pensato le nostre regole istituzionali. Per le banche il caso è eclatante. A ogni aumento del tasso ufficiale di sconto i contratti adeguano automaticamente gli interessi attivi per la banca, ma non quelli passivi sui depositi per i risparmiatori generando facili profitti. Per le imprese è lo stesso. I salari vengono adeguati ogni tre anni mentre i prezzi salgono ogni mese con un evidente vantaggio per i datori di lavoro. Sono le regole del gioco ad essere truccate. Le incoerenze appaiono veramente grandi e ingiuste quando l’inflazione è elevata.
Che fare allora? Se non si vuole agire ex-post, cioè con la tassazione, occorre evidentemente agire ex-ante in modo che gli extra profitti non si formino. Su questo punto la destra è silente. Si aprono allora interessanti proposte, anche elettorali, per il fronte progressista. Ne indico due. La prima, rivolta alle banche, è quella di indicizzare anche gli interessi dei correntisti al tasso ufficiale di sconto. La percentuale è da determinarsi, ma così siamo sicuri che le risorse sottratte ai debitori non finiscono solo nelle tasche delle banche. La seconda è ancora più ovvia e riguarda i profitti imprenditoriali. Non c’è nessun motivo perché i contratti debbano essere rinnovati ogni tre anni, un tempo enorme quando l’inflazione è elevata. Questo è un vecchio residuo della politica industriale degli anni Novanta.
Anche qui, nessuna rivoluzione. Per legge si potrebbe stabilire che i salari aumentino del 50% dell’inflazione dell’anno precedente in maniera automatica ogni anno. Una scala mobile molto depotenziata. Questo garantirebbe una parziale tutela ai lavoratori e lascerebbe lo spazio per la contrattazione di produttività. Uno scandalo? Per nulla: negli Usa la contrattazione non ha scadenze temporali. Sarà per questo che i lavoratori Usa si sono difesi meglio dall’inflazione, che, guarda caso, sta scendendo ed è tornata ai livelli normali. Nessuna inflazione da salari insomma, che invece i nostri tecnocrati casalinghi paventano sempre.
La Segretaria del Pd Schlein continua a battere il tasto delle proposte e del programma. Francamente però finora non ho visto nulla. Una prima proposta potrebbe essere quella di intervenire per ridurre gli extra profitti, con le tasse o altri strumenti. Ma su questo punto mi pare che il Pd voglia seguire la strada di Forza Italia opponendosi a questa minima misura di giustizia fiscale. Sarà forse per questo atteggiamento francamente incomprensibile, e non per la noiosa renziade estiva, che il Pd sta perdendo consensi. Il programma economico e sociale del Pd semplicemente non esiste, o almeno al sottoscritto è sfuggito. Né può essere, credo, quello di Forza Italia con qualche piccolo aggiustamento.
I risultati delle elezioni francesi dovrebbero pur insegnare qualcosa al moderatissimo e quasi conservatore Pd. Che i progressisti debbano stare con l’ex-missino La Russa è curioso, ma ci può stare perché le proposte giuste, nel senso di eque, non hanno colore politico ma sono solo molto utili agli individui e alla società.