Domenica a Singapore Daniel Ricciardo ha con buone probabilità disputato l’ultimo Gran premio di F1 della sua carriera. Un’uscita di scena che ha fatto discutere per il giro veloce tolto nelle battute finali a Lando Norris, suo ex compagno in McLaren, team nel quale è iniziata la parabola discendente dell’ottimo pilota australiano. Discussione doppia: da un lato presunta mancanza di etica sportiva del mondo Red Bull; dall’altro, soprattutto, l’insensatezza nella moderna Formula Uno del punto addizionale per il giro veloce, un premio ormai totalmente slegato dalle prestazioni in pista dei singoli piloti.
Il punto conquistato da Ricciardo non ha avuto valore di per sé, visto che viene assegnato solo se il pilota si classifica nelle prime 10 posizioni e lui è finito 18esimo, ma ha indirettamente aiutato Max Verstappen nella sua difesa del titolo dalla rimonta di Lando Norris. Come ha scritto Alfredo Giacobbe sul quotidiano svizzero La Regione: “Norris afferra una bottiglia d’acqua, ne infila la bocca nella tuta, lascia scorrere il liquido freddo dietro la schiena. Chissà se è in questo momento di sollievo, dopo due ore di pura sofferenza, che realizza che i suoi sforzi sono stati inutili. Singapore ha emesso il primo verdetto della stagione: da qui in avanti, l’inglesino della McLaren può anche vincerle tutte, a Max Verstappen basterà arrivare secondo per laurearsi campione del mondo. Il destino di Norris non è più nelle sue mani”. Tutto per quel punto sottrattogli da un pilota appartenente al team satellite di quello del campione del mondo in carica.
È vero che anche in passato ci sono sempre state alleanze tra team clienti e team fornitori (ad esempio Ferrari e Sauber), così come tra scuderie diverse per ragioni di bandiera (McLaren e Williams in funzione anti-Ferrari). Ed è altrettanto vero che, con sette gare ancora da disputare in un campionato apertissimo, qualsiasi calcolo appare prematuro. La vicenda però lascia un retrogusto sgradevole, che non viene addolcito nemmeno dalla dichiarazione del team manager VCARB Laurent Mekies di aver voluto offrire a Ricciardo l’opportunità di chiudere in bellezza.
Passando oltre le speculazioni, però, resta la questione del punto addizionale per il giro veloce. Un premio che premia a caso, stridendo tantissimo con il mondo iper-tecnologico e iper-performante della moderna F1. Reintrodotto nel 2019, esattamente sessant’anni dopo il primo abbandono della regola, la natura del punto addizionale dovrebbe essere quella di spingere i piloti a essere più aggressivi e ad assumersi più rischi, specialmente nel finale di gara. Ma in una Formula Uno con pneumatici ad alto degrado, finisce talvolta con il premiare proprio chi ha rischiato di meno, e può permettersi una sosta nelle fasi finali perché non ha nulla da perdere, trovandosi magari fuori dalla zona punti oppure in una zona di mezzo con un vantaggio importante sugli inseguitori.
Una statistica pubblicata da The Race ha mostrato come, nelle 122 gare disputate dal 2019, il vincitore ha raccolto il punto addizionale 36 volte. Il dato che però dimostra come il bonus sia scollegato dalle prestazioni riguarda il 16esimo e il 18esimo classificato, che hanno preso il punto più volte di tutte le altre posizioni sotto il settimo. Il giro veloce di Ricciardo, per tornare all’esempio di Singapore, è stato di 1:34.486, mentre nel Q1 l’australiano aveva realizzato un 1:31.085. Tutt’altro che una grande impresa, e comunque alla portata di tutti, da Piastri a Leclerc a Russell, se solo avessero potuto fermarsi nei giri finali. Ecco perché il bonus è slegato dalla prestazione complessiva, visto che “il pilota più veloce in pista” lo è solo in quel determinato momento e in quelle circostanze. Senza nulla togliere a Ricciardo, ma nemmeno senza esaltare la performance in maniera esagerata.
Esistono altre opzioni per assegnare un punto bonus. Come il +1 per la pole position ottenuta, che salvo rari casi risulta meno legata alle condizioni del momento. Oppure per il pit stop più veloce, che quanto meno rispecchia un dato più oggettivo. Regole magari discutibili o superflue. Ma continuare a premiare doppiati o piloti da metà classifica non è da competizione da élite. A maggior ragione se poi un bonus così aleatorio può potenzialmente incidere sulla lotta per il titolo.