Negli ultimi giorni i media hanno molto valutato il Rapporto di Mario Draghi sul futuro della “competitività europea”, un rapporto che pone in evidenza la necessità di rafforzare la debole “produttività” dell’Europa, rispetto alla maggiore produttività degli Stati Uniti e della Cina, indicando, a questo proposito, le misure che l’Unione Europea dovrebbe adottare, per porre le premesse di una futura ripresa. Si tratta, tuttavia, di provvedimenti che appaiono poco idonei per cambiare l’accennata situazione di inferiorità dell’Europa, poiché, essi sono il frutto di una analisi particolareggiata di singoli problemi relativi alla tecnologia, alla decarbonizzazione e alla difesa militare, omettendo di valutare se detta debolezza economica non sia diretta conseguenza della struttura del vigente “sistema economico neoliberista”, che ha sostituito il precedente sistema keynesiano.

E’ noto, infatti, che il sistema keynesiano è portatore di crescita, mentre quello neoliberista è portatore di crisi. Basta pensare che mentre il sistema keynesiano prevede che la ricchezza sia distribuita alla base della piramide sociale (che, quindi, lavorino e guadagnino tutti) e che lo Stato (in pratica l’intera collettività, e cioè il popolo) intervenga direttamente nell’economia traendone “profitti”, il sistema neoliberista prevede invece che la ricchezza sia nelle mani di pochi, che tra questi ci sia una forte “concorrenza”, e che lo Stato, tenuto a “privatizzare” il proprio patrimonio, non possa intervenire nell’economia e non possa più acquisire gli accennati “profitti”.

Nel primo caso, l’economia lavora, per così dire, a pieno ritmo, nel senso che sono impegnate in essa, per produrre ricchezza, il “patrimonio pubblico”, i “risparmi privati” e tutte le “energie lavorative” della collettività; nel secondo caso, invece, l’economia è molto meno estesa, poiché è gestita unicamente dai singoli privati, i quali peraltro agiscono secondo il principio della “concorrenza”, sovente annientando il più debole e impadronendosi della sua ricchezza. e per giunta investendo, piuttosto che in attività produttive, in prodotti finanziari, che non creano, ma assorbono la ricchezza esistente.

E a tutto questo si deve aggiungere che lo Stato, e, quindi, la collettività, il popolo, non ha più la “sovranità monetaria”, e che il potere di stampare la moneta “euro” è riservata a una banca privata, la BCE che agisce tramite le Banche centrali, seguendo le norme di un apposito sistema monetario, “l ‘Eurosistema”. Il quale, in ossequio al Trattato di Maastricht, esclude che gli Stati acquistino euro direttamente dalla Bce, dovendo questa finanziare soltanto le banche commerciali, che diventano i veri gestori della moneta euro, imponendo tassi interesse soventi superiori al dovuto.

Alla luce di questa sintetica esposizione, la conclusioni da trarne è di una evidenza solare. Se la ricchezza è nelle mani di pochi (le multinazionali e le banche); se l’intero settore pubblico è eliminato, ed esiste solo un settore privato, che più che investire in attività produttive, acquista in prevalenza prodotti finanziari; se lo Stato non può più investire direttamente con le sue Aziende pubbliche ed è costretto a finanziare, senza successo, le SPA private, per incentivarle a investimenti produttivi; se, in un regime di “concorrenza” vince il più forte (le lobby statunitensi), mentre il popolo langue in miseria e non ha più risparmi da investire; se neanche i miliardi del Quantitative Easing non sono riusciti a indurre le imprese private ad investire produttivamente, e sono stati “depositati” dalle banche commerciali presso la Bce ottenendo l’extraprofitto di 153 miliardi di euro annui; non si può certamente negare che è il sistema economico neoliberista” il vero responsabile dell’indebolimento della “competitività europea”.

Mentre il “Rapporto” di Mario Draghi appare sostanzialmente privo di concretezza reale.

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