Una prova di equilibrismo: si può riassumere così la visita della presidente del Consiglio Giorgia Meloni negli Stati Uniti per l’assemblea generale delle Nazioni Unite. Da un lato i rapporti con Big Tech. Dall’altro il risiko internazionale in cui il governo sposa apertamente la linea Biden su Ucraina, Gaza e Libano ma boccia la proposta di riforma Usa sul consiglio di sicurezza per non creare “Paesi di serie A e B”. E ancora: da una parte le occasioni pubbliche schivate – la premier non parteciperà alla cena con Biden e farà rientro un giorno prima in Italia, dall’altra il premio dell’Atlantic Council consegnato da Elon Musk – aperto sostenitore di Donald Trump e acerrimo nemico di Kamala Harris nella corsa alla Casa Bianca.
Nella sua tre giorni a Ny la premier ha strizzato l’occhio ai potenziali investimenti in Italia dei colossi high tech Usa e si è tenuta più o meno alla larga dalle elezioni. Di domenica sera l’incontro con i Ceo di Google, Motorola e Open Ai che sembrano interessati ad investire nei data center e nelle startup italiane, alle collaborazioni con le eccellenze delle nostre università, a fornire know how sulla Ia alle imprese italiane. Poi lunedì sera il Global Citizen Award ricevuto dalle mani di Elon Musk, patron di Tesla e SpaceX, che Meloni ha indicato prima della sua discesa in campo contro il ticket dem ma che ora rischia di imbarazzarla per le sue uscite sempre più divisive e incendiarie. Da ultimo il post in cui – dopo il secondo attentato al Trump – si domandava perché nessuno tentasse di uccidere Biden o Harris, inducendo il Secret Service ad accendere un faro su di lui. Con Musk, sottolineano fonti governative, c’è un rapporto personale e di stima reciproca, oltre a possibili interessi del magnate ad investire nel Belpaese, dallo spazio (con Starlink) all’Ia. Una figura che potrebbe tornare utile anche per aprire subito una linea privilegiata con The Donald in caso di vittoria, ma che potrebbe raffreddare il rapporto con Harris se dovesse spuntarla lei.
Del resto, nemmeno durante la premiazione sono mancate le gaffe, come quando Musk, rivolgendosi alla premier, ha detto di lei che “è più bella dentro che fuori”: “E’ un onore essere qui per consegnare questo premio ad una persona che è addirittura più bella dentro che fuori. Ha fatto un lavoro incredibile come premier, con una crescita e un’occupazione record. E’ una persona onesta, vera, autentica, una dote rara per un politico”, ha detto Musk. Poi è stato il turno della premier, che era seduta accanto a lui nel tavolo della cerimonia alla Ziegfeld Ballroom e che lo ha ringraziato subito per le sue parole e per il suo “genio prezioso”. Da Meloni è arrivato un discorso incentrato sulla difesa e la celebrazione dei valori dell’Occidente contro autocrazie e regimi autoritari, ma anche contro i rischi dello stesso Occidente di “auto-sminuirsi” e, dall’altro, “di pretendere spesso di essere superiore agli altri”. “Il risultato? L’Occidente – ha detto – rischia di diventare un interlocutore meno credibile. Il cosiddetto Sud globale chiede più influenza. Le nazioni in via di sviluppo che sono ormai ampiamente consolidate collaborano autonomamente tra loro. Le autocrazie stanno guadagnando terreno sulle democrazie e rischiamo di assomigliare sempre di più a una fortezza chiusa e autoreferenziale”, ha ammonito, indicando ancora una volta il piano Mattei come esempio “per invertire questa rotta” e come “modello di cooperazione paritaria per costruire con i Paesi africani un partenariato nuovo e duraturo”. Da Meloni anche una citazione di Man in the mirror del “mio professore di inglese, il cantante Michael Jackson” per dire che “dobbiamo iniziare da noi stessi, per sapere chi siamo veramente e rispettarlo”. E pure di Ronald Reagan per ricordare che la libertà “è un’arma che i nostri avversari nel mondo di oggi non hanno e quella che temono di più”.
Parole che seguono il filo di quanto la premier aveva già detto nel pomeriggio nel suo intervento al palazzo di Vetro dell’Onu dove la premier – il cui discorso è stato interrotto per sforamento dei tempi – ha ribadito che l’Italia “è una convinta sostenitrice” dell’Onu e del multilateralismo, che però non deve essere “un club nel quale incontrarsi per scrivere inutili documenti zeppi di buoni propositi, ma il luogo nel quale si devono fare i conti con l’urgenza delle decisioni, il luogo nel quale le idee devono diventare azione, facendo sintesi tra le diverse sensibilità”. E con regole “giuste e condivise”. Per questo Meloni ha rilanciato una riforma del consiglio di sicurezza che non può “prescindere dai principi di uguaglianza, democraticità e rappresentatività”, evitando di “creare nuove gerarchie” e “nazioni di serie A e di serie B”: una bocciatura della proposta Usa, che chiede due seggi permanenti per i paesi africani, insieme a un seggio a rotazione per le piccole nazioni insulari in via di sviluppo. Anche in quell’occasione Meloni aveva citato il piano Mattei per l’Africa come esempio di nuova cooperazione tra le nazioni.
Oggi la conclusione della missione della premier con altri due interventi: al vertice della coalizione globale contro la minaccia delle droghe sintetiche, su invito di Biden, e il discorso all’assemblea generale dell’Onu in serata (nella notte italiana), prima della partenza che farà saltare il ricevimento del padrone di casa Biden e l’evento per l’Ucraina al quale però dovrebbe collegarsi via video da Roma.