Ci è voluto un po’, ma alla fine è arrivato il momento di uno sciopero nazionale unitario del settore auto. Un avvenimento che è il termometro della crisi di Stellantis, se si pensa alla frantumazione che ha segnato i sindacati dai tempi di Sergio Marchionne in poi. Ora Fiom, Uilm e Fim tornano in piazza insieme dopo l’antipasto di aprile a Torino. Sarà una manifestazione unica anche questa volta ma ora interesserà tutti gli stabilimenti e il mondo che ci ruota attorno. Perché se Mirafiori è affondata ancor di più dopo l’onda dei diecimila che in primavera aveva riempito le strade del capoluogo torinese, ora la produzione va a rilento ovunque.
In piazza il 18 ottobre a Roma
L’appuntamento è per venerdì 18 ottobre a Roma, con gli interventi finali in piazza del Popolo. Una sorta di appello finale all’azienda e a un governo inerte di fronte ai numeri drammatici dei volumi con riflessi diretti sulla filiera della componentistica, in ulteriore sofferenza per il rallentamento del mercato europeo dove le aziende italiane giocano un ruolo importante essendo fornitrici per diverse case automobilistiche. In piazza ci saranno tutti durante le 8 ore di astensione dal lavoro: gli operai degli stabilimenti di Stellantis e i dipendenti delle aziende dell’indotto, uniti dal destino comune. Con il gruppo franco-italiano unico produttore, infatti, il crollo della produzione sta direttamente investendo la filiera dei componenti, della logistica e dei servizi.
I segretari: “La situazione è critica”
“La situazione diventa sempre più critica. In assenza di una netta inversione di direzione, rischia di essere irrimediabilmente compromessa la prospettiva industriale e occupazionale”, hanno avvertito i segretari generali Michele De Palma, Rocco Palombella e Ferdinando Uliano. “Le drammatiche novità provenienti dalla Germania e dal Belgio, a partire dal gruppo Volkswagen, rischiano di produrre un terremoto per tutta l’industria dell’automotive nel continente, mentre Usa e Cina difendono l’industria con fortissimi investimenti – hanno spiegato – Ciò per noi potrebbe provocare effetti dirompenti, giacché il settore rappresenta l’11% del pil italiano”.
I numeri della crisi
A rischio, fanno di conto i metalmeccanici, ci sono 200mila posti di lavoro e il tempo stringe, anche perché gli ammortizzatori sociali sono in esaurimento nei primi mesi del 2025 sia nelle fabbriche di Stellantis che nell’indotto. I primi sei mesi si sono chiusi con il 25% in meno di auto prodotte rispetto allo stesso periodo del 2023. Un arretramento destinato a peggiorare nella seconda parte dell’anno con Mirafiori chiusa almeno un mese e la previsione della Fiom di soli quindici giorni di lavoro nell’ultimo trimestre del 2024. Una situazione “compromessa”, l’ha definita il leader della Fim Uliano. Anche le altre fabbriche viaggiano a ritmi ridotti e con diversi giorni di cassa integrazione un po’ ovunque, da Atessa a Pomigliano d’Arco passando per Melfi, Termoli e Cassino. Così perfino tagliare il traguardo dei 500mila veicoli nei dodici mesi, una sforbiciata di un terzo rispetto allo scorso anno, appare difficile. Alcune stime, addirittura, parlano di un’asticella che potrebbe a malapena sfiorare le 400mila unità. Per i sindacati, non è solo una questione di mercato dell’elettrico in difficoltà ma c’entra anche la strategia dell’ad Carlos Tavares, definita una “fuga” dall’Italia, mentre non viene neanche assicurato l’investimento nella gigafactory di Termoli con il consorzio Acc.
La chiamata in causa del governo
Di fronte alla quale il governo aveva promesso il pugno duro, finalizzato al raggiungimento del milione di vetture all’anno. Era il giugno 2023 quando il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso annunciava il tavolo per siglare il patto con Stellantis. Quindici mesi dopo, l’azienda ha incassato due delle tre richieste – incentivi e pressioni per cambiare la normativa europea sugli Euro 7 – ma ha finora fatto solo promesse minime su nuovi modelli assegnati all’Italia che dovrebbero iniziare a sostanziarsi tra almeno un anno. Palombella ha sottolineato come gli incentivi “non hanno funzionato, anzi hanno funzionato malissimo” e “le transizioni vanno governate” accusando l’esecutivo di una “gestione superficiale” che “ha creato una tempesta perfetta”. Per questo Fiom, Uilm e Fim incalzano anche il governo chiedendo un intervento diretto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, invitata a convocare Tavares a Palazzo Chigi. In attesa di risposte, il dado è tratto: sarà sciopero. “Speriamo sia una manifestazione di popolo, perché se perdiamo il settore dell’automotive, oltre ai problemi di siderurgia ed elettromodestico, c’è il rischio che il nostro non sia più un Paese industriale”, ha detto De Palma aprendo la giornata a una partecipazione non solo dei dipendenti di Stellantis e dell’aziende del comparto.
“Servono urgenti interventi”
“Sono indispensabili urgenti interventi sulle scelte strategiche del settore da parte della Ue, mirate politiche industriali da parte del governo e impegni industriali seri e coraggiosi da parte di Stellantis e delle aziende della componentistica”, hanno detto ancora i segretari dei metalmeccanici di Cgil, Uil e Cisl. “Il governo – hanno aggiunto – deve dare concretezza al confronto iniziato più di un anno fa al Mimit: è necessario che, oltre al confronto in corso con Stellantis e agli impegni già presi, si attui un piano strategico con azioni mirate anche per le aziende della componentistica”. Il settore è “strategico e trasversale rispetto alle competenze di più ministeri”, hanno sottolineato i sindacati e per questo “riteniamo non più procrastinabile e indispensabile il coinvolgimento da parte della presidenza del Consiglio e dell’ad di Stellantis, che insieme ai sindacati, determinino le prospettive dell’automotive nel nostro Paese, all’interno di un accordo quadro generale che possa dare risposte positive non solo ai lavoratori degli stabilimenti Stellantis, ma anche a tutti coloro che lavorano nelle aziende della componentistica”, che “oggi vivono una condizione di grande precarietà”.
X: @andtundo
Lavoro & Precari
Stellantis, sarà sciopero nazionale: operai in piazza a Roma il 18 ottobre. Con loro l’indotto. “Momento critico, ora intervenga il governo”
Ci è voluto un po’, ma alla fine è arrivato il momento di uno sciopero nazionale unitario del settore auto. Un avvenimento che è il termometro della crisi di Stellantis, se si pensa alla frantumazione che ha segnato i sindacati dai tempi di Sergio Marchionne in poi. Ora Fiom, Uilm e Fim tornano in piazza insieme dopo l’antipasto di aprile a Torino. Sarà una manifestazione unica anche questa volta ma ora interesserà tutti gli stabilimenti e il mondo che ci ruota attorno. Perché se Mirafiori è affondata ancor di più dopo l’onda dei diecimila che in primavera aveva riempito le strade del capoluogo torinese, ora la produzione va a rilento ovunque.
In piazza il 18 ottobre a Roma
L’appuntamento è per venerdì 18 ottobre a Roma, con gli interventi finali in piazza del Popolo. Una sorta di appello finale all’azienda e a un governo inerte di fronte ai numeri drammatici dei volumi con riflessi diretti sulla filiera della componentistica, in ulteriore sofferenza per il rallentamento del mercato europeo dove le aziende italiane giocano un ruolo importante essendo fornitrici per diverse case automobilistiche. In piazza ci saranno tutti durante le 8 ore di astensione dal lavoro: gli operai degli stabilimenti di Stellantis e i dipendenti delle aziende dell’indotto, uniti dal destino comune. Con il gruppo franco-italiano unico produttore, infatti, il crollo della produzione sta direttamente investendo la filiera dei componenti, della logistica e dei servizi.
I segretari: “La situazione è critica”
“La situazione diventa sempre più critica. In assenza di una netta inversione di direzione, rischia di essere irrimediabilmente compromessa la prospettiva industriale e occupazionale”, hanno avvertito i segretari generali Michele De Palma, Rocco Palombella e Ferdinando Uliano. “Le drammatiche novità provenienti dalla Germania e dal Belgio, a partire dal gruppo Volkswagen, rischiano di produrre un terremoto per tutta l’industria dell’automotive nel continente, mentre Usa e Cina difendono l’industria con fortissimi investimenti – hanno spiegato – Ciò per noi potrebbe provocare effetti dirompenti, giacché il settore rappresenta l’11% del pil italiano”.
I numeri della crisi
A rischio, fanno di conto i metalmeccanici, ci sono 200mila posti di lavoro e il tempo stringe, anche perché gli ammortizzatori sociali sono in esaurimento nei primi mesi del 2025 sia nelle fabbriche di Stellantis che nell’indotto. I primi sei mesi si sono chiusi con il 25% in meno di auto prodotte rispetto allo stesso periodo del 2023. Un arretramento destinato a peggiorare nella seconda parte dell’anno con Mirafiori chiusa almeno un mese e la previsione della Fiom di soli quindici giorni di lavoro nell’ultimo trimestre del 2024. Una situazione “compromessa”, l’ha definita il leader della Fim Uliano. Anche le altre fabbriche viaggiano a ritmi ridotti e con diversi giorni di cassa integrazione un po’ ovunque, da Atessa a Pomigliano d’Arco passando per Melfi, Termoli e Cassino. Così perfino tagliare il traguardo dei 500mila veicoli nei dodici mesi, una sforbiciata di un terzo rispetto allo scorso anno, appare difficile. Alcune stime, addirittura, parlano di un’asticella che potrebbe a malapena sfiorare le 400mila unità. Per i sindacati, non è solo una questione di mercato dell’elettrico in difficoltà ma c’entra anche la strategia dell’ad Carlos Tavares, definita una “fuga” dall’Italia, mentre non viene neanche assicurato l’investimento nella gigafactory di Termoli con il consorzio Acc.
La chiamata in causa del governo
Di fronte alla quale il governo aveva promesso il pugno duro, finalizzato al raggiungimento del milione di vetture all’anno. Era il giugno 2023 quando il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso annunciava il tavolo per siglare il patto con Stellantis. Quindici mesi dopo, l’azienda ha incassato due delle tre richieste – incentivi e pressioni per cambiare la normativa europea sugli Euro 7 – ma ha finora fatto solo promesse minime su nuovi modelli assegnati all’Italia che dovrebbero iniziare a sostanziarsi tra almeno un anno. Palombella ha sottolineato come gli incentivi “non hanno funzionato, anzi hanno funzionato malissimo” e “le transizioni vanno governate” accusando l’esecutivo di una “gestione superficiale” che “ha creato una tempesta perfetta”. Per questo Fiom, Uilm e Fim incalzano anche il governo chiedendo un intervento diretto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, invitata a convocare Tavares a Palazzo Chigi. In attesa di risposte, il dado è tratto: sarà sciopero. “Speriamo sia una manifestazione di popolo, perché se perdiamo il settore dell’automotive, oltre ai problemi di siderurgia ed elettromodestico, c’è il rischio che il nostro non sia più un Paese industriale”, ha detto De Palma aprendo la giornata a una partecipazione non solo dei dipendenti di Stellantis e dell’aziende del comparto.
“Servono urgenti interventi”
“Sono indispensabili urgenti interventi sulle scelte strategiche del settore da parte della Ue, mirate politiche industriali da parte del governo e impegni industriali seri e coraggiosi da parte di Stellantis e delle aziende della componentistica”, hanno detto ancora i segretari dei metalmeccanici di Cgil, Uil e Cisl. “Il governo – hanno aggiunto – deve dare concretezza al confronto iniziato più di un anno fa al Mimit: è necessario che, oltre al confronto in corso con Stellantis e agli impegni già presi, si attui un piano strategico con azioni mirate anche per le aziende della componentistica”. Il settore è “strategico e trasversale rispetto alle competenze di più ministeri”, hanno sottolineato i sindacati e per questo “riteniamo non più procrastinabile e indispensabile il coinvolgimento da parte della presidenza del Consiglio e dell’ad di Stellantis, che insieme ai sindacati, determinino le prospettive dell’automotive nel nostro Paese, all’interno di un accordo quadro generale che possa dare risposte positive non solo ai lavoratori degli stabilimenti Stellantis, ma anche a tutti coloro che lavorano nelle aziende della componentistica”, che “oggi vivono una condizione di grande precarietà”.
X: @andtundo
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L’Inps spegne gli entusiasmi di Meloni: “Sull’occupazione delle donne e dei giovani molta distanza dall’Ue. E l’inflazione ha fatto calare il potere d’acquisto”
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Mondo
A Gaza è finita la tregua: Israele attacca Hamas sulla Striscia. “Oltre 350 morti, molti bambini”. Tel Aviv: “Colpiremo fino alla restituzione di tutti gli ostaggi”
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Trump-Putin, oggi la telefonata. Media: “Usa pensano a riconoscere la Crimea come russa”. Tasse e debito: corsa al riarmo dell’Est Europa
Politica
“Riarmo? Linea di Schlein sensata, non porterà più sicurezza”: la lettera degli ex big del Pd toscano
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "Spero ci sia la volontà politica per evitare di dividerci di nuovo. Questo è un passaggio storico. Non possiamo sbagliare, è troppo importante. La politica estera e i temi della difesa europea magari non sono decisivi per il consenso elettorale, ma sono fondamentali per la costruzione della credibilità di un soggetto politico e della costruzione di un’alternativa di governo". Lo dice al Foglio Alessandro Alfieri, senatore del Pd e coordinatore di Energia popolare, a proposito della mozione del Pd sulle comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio Ue.
"Lavoriamo a un documento che sottolinei le criticità del piano sulle quali il governo dovrebbe negoziare con la Commissione – dalla necessità di non sbilanciare il costo del riarmo troppo sui bilanci nazionali, alla necessità di investimenti che contribuiscano a far crescere la collaborazione industriale trai i paesi europei e gli acquisti e programmi comuni tra pesi – ma che confermi comunque che questo è oggi un passaggio necessario per garantire la sicurezza dell’Europa", sottolinea il senatore dem.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - La tregue in Ucraina "ci sarà, è inevitabile. Trump e Putin si sono spinti troppo avanti. Hanno tagliato fuori dal confronto l’Europa che rompe le scatole e ora, escludendo gli altri, hanno obbligato se stessi a portare a casa il risultato. Non possono fallire, non possono tornare alla casella di partenza". Lo dice Romano Prodi a 'Avvenire'.
Ma "la pace è un’altra cosa. È più complicata perché si tratta di definire aspetti complessi. A cominciare dai problemi territoriali. Certo di solito una tregua finisce con il rendere definitivi accordi provvisori", sottolinea l'ex presidente della commissione Ue. Sulla difesa europea, Prodi spiega: "Ora è il momento di farci il nostro ombrello. Penso a un lungo e indispensabile cammino verso la difesa comune. Penso a risorse aggiuntive che vengano progressivamente messe insieme da tutti i Paesi Ue. Penso a risorse spese in modo coordinato e unito. Se aumentiamo le spese militari senza organizzare una politica estera e una difesa comune, sono soldi buttati via".
Prodi, tra le altre cose, parla della situazione del Pd: "In Europa non esiste un Paese in cui un partito abbia la maggioranza. Ecco il tema: creare la compagnia di viaggio" e con il M5s "c’è tanta distanza. Troppa. Questo gioco della separazione quotidiana vuol dire condannarsi alla sconfitta. E invece la sfida è trovare una capacità di mediare avanzando. Servono proposte innovative. Servono proposte che emozionano. Che prendono il cuore. Perchè c’è metà del Paese che non va più a votare. E perchè i giovani non si convincono con proposte in contrasto tra loro".
(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.