Ci è voluto un po’, ma alla fine è arrivato il momento di uno sciopero nazionale unitario del settore auto. Un avvenimento che è il termometro della crisi di Stellantis, se si pensa alla frantumazione che ha segnato i sindacati dai tempi di Sergio Marchionne in poi. Ora Fiom, Uilm e Fim tornano in piazza insieme dopo l’antipasto di aprile a Torino. Sarà una manifestazione unica anche questa volta ma ora interesserà tutti gli stabilimenti e il mondo che ci ruota attorno. Perché se Mirafiori è affondata ancor di più dopo l’onda dei diecimila che in primavera aveva riempito le strade del capoluogo torinese, ora la produzione va a rilento ovunque.

In piazza il 18 ottobre a Roma
L’appuntamento è per venerdì 18 ottobre a Roma, con gli interventi finali in piazza del Popolo. Una sorta di appello finale all’azienda e a un governo inerte di fronte ai numeri drammatici dei volumi con riflessi diretti sulla filiera della componentistica, in ulteriore sofferenza per il rallentamento del mercato europeo dove le aziende italiane giocano un ruolo importante essendo fornitrici per diverse case automobilistiche. In piazza ci saranno tutti durante le 8 ore di astensione dal lavoro: gli operai degli stabilimenti di Stellantis e i dipendenti delle aziende dell’indotto, uniti dal destino comune. Con il gruppo franco-italiano unico produttore, infatti, il crollo della produzione sta direttamente investendo la filiera dei componenti, della logistica e dei servizi.

I segretari: “La situazione è critica”
“La situazione diventa sempre più critica. In assenza di una netta inversione di direzione, rischia di essere irrimediabilmente compromessa la prospettiva industriale e occupazionale”, hanno avvertito i segretari generali Michele De Palma, Rocco Palombella e Ferdinando Uliano. “Le drammatiche novità provenienti dalla Germania e dal Belgio, a partire dal gruppo Volkswagen, rischiano di produrre un terremoto per tutta l’industria dell’automotive nel continente, mentre Usa e Cina difendono l’industria con fortissimi investimenti – hanno spiegato – Ciò per noi potrebbe provocare effetti dirompenti, giacché il settore rappresenta l’11% del pil italiano”.

I numeri della crisi
A rischio, fanno di conto i metalmeccanici, ci sono 200mila posti di lavoro e il tempo stringe, anche perché gli ammortizzatori sociali sono in esaurimento nei primi mesi del 2025 sia nelle fabbriche di Stellantis che nell’indotto. I primi sei mesi si sono chiusi con il 25% in meno di auto prodotte rispetto allo stesso periodo del 2023. Un arretramento destinato a peggiorare nella seconda parte dell’anno con Mirafiori chiusa almeno un mese e la previsione della Fiom di soli quindici giorni di lavoro nell’ultimo trimestre del 2024. Una situazione “compromessa”, l’ha definita il leader della Fim Uliano. Anche le altre fabbriche viaggiano a ritmi ridotti e con diversi giorni di cassa integrazione un po’ ovunque, da Atessa a Pomigliano d’Arco passando per Melfi, Termoli e Cassino. Così perfino tagliare il traguardo dei 500mila veicoli nei dodici mesi, una sforbiciata di un terzo rispetto allo scorso anno, appare difficile. Alcune stime, addirittura, parlano di un’asticella che potrebbe a malapena sfiorare le 400mila unità. Per i sindacati, non è solo una questione di mercato dell’elettrico in difficoltà ma c’entra anche la strategia dell’ad Carlos Tavares, definita una “fuga” dall’Italia, mentre non viene neanche assicurato l’investimento nella gigafactory di Termoli con il consorzio Acc.

La chiamata in causa del governo
Di fronte alla quale il governo aveva promesso il pugno duro, finalizzato al raggiungimento del milione di vetture all’anno. Era il giugno 2023 quando il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso annunciava il tavolo per siglare il patto con Stellantis. Quindici mesi dopo, l’azienda ha incassato due delle tre richieste – incentivi e pressioni per cambiare la normativa europea sugli Euro 7 – ma ha finora fatto solo promesse minime su nuovi modelli assegnati all’Italia che dovrebbero iniziare a sostanziarsi tra almeno un anno. Palombella ha sottolineato come gli incentivi “non hanno funzionato, anzi hanno funzionato malissimo” e “le transizioni vanno governate” accusando l’esecutivo di una “gestione superficiale” che “ha creato una tempesta perfetta”. Per questo Fiom, Uilm e Fim incalzano anche il governo chiedendo un intervento diretto della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, invitata a convocare Tavares a Palazzo Chigi. In attesa di risposte, il dado è tratto: sarà sciopero. “Speriamo sia una manifestazione di popolo, perché se perdiamo il settore dell’automotive, oltre ai problemi di siderurgia ed elettromodestico, c’è il rischio che il nostro non sia più un Paese industriale”, ha detto De Palma aprendo la giornata a una partecipazione non solo dei dipendenti di Stellantis e dell’aziende del comparto.

“Servono urgenti interventi”
“Sono indispensabili urgenti interventi sulle scelte strategiche del settore da parte della Ue, mirate politiche industriali da parte del governo e impegni industriali seri e coraggiosi da parte di Stellantis e delle aziende della componentistica”, hanno detto ancora i segretari dei metalmeccanici di Cgil, Uil e Cisl. “Il governo – hanno aggiunto – deve dare concretezza al confronto iniziato più di un anno fa al Mimit: è necessario che, oltre al confronto in corso con Stellantis e agli impegni già presi, si attui un piano strategico con azioni mirate anche per le aziende della componentistica”. Il settore è “strategico e trasversale rispetto alle competenze di più ministeri”, hanno sottolineato i sindacati e per questo “riteniamo non più procrastinabile e indispensabile il coinvolgimento da parte della presidenza del Consiglio e dell’ad di Stellantis, che insieme ai sindacati, determinino le prospettive dell’automotive nel nostro Paese, all’interno di un accordo quadro generale che possa dare risposte positive non solo ai lavoratori degli stabilimenti Stellantis, ma anche a tutti coloro che lavorano nelle aziende della componentistica”, che “oggi vivono una condizione di grande precarietà”.

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