Per la prima volta dall’anomalo periodo del 2008, i rendimenti di Stato francesi sono uguali a quelli spagnoli. Se prima Parigi pagava per indebitarsi sui mercati molto meno di Madrid, oggi non è più così. Entrambe, su un decennale, pagano poco meno del 3%. Nell’ultimo anno il costo del debito è sceso per tutti i paesi dell’area euro ma, mentre quello spagnolo è calato di uno 0,9% (e quello italiano di 1,1%), quello francese è sceso solo di 0,4%. Nell’ultimo mese poi, la Francia è l’unico grande paese euro che non ha beneficiato di flessioni dei rendimenti.
Il livello del debito francese non è su valori italiani (134% del Pil) ma neppure così distante, attestandosi al 110% del prodotto interno. Variazioni degli interessi hanno quindi impatti significativi su finanze pubbliche già in grave difficoltà. Il deficit potrebbe superare quest’anno il 6%, oltre il doppio rispetto ai limiti fissati da Bruxelles. Il nuovo e giovane ministro delle Finanze, Antoine Armand, lo ha definito “uno degli indebitamenti peggiori della storia”, auspicando un dialogo con le parti sociali per “risanare le finanze pubbliche. “La situazione è grave”, ha sentenziato.
Nel 2024 la Francia ha venduto titoli per 285 miliardi di euro e nel 2025 pianifica emissione per 315 miliardi, di cui 150 serviranno per rimpiazzare bond che arrivano a scadenza. Questa somma è però basata sulla stima di un deficit al 5,1%, un punto in più significherebbe dover raccogliere altri 27 miliardi circa. A meno che non si scelga di ridurre le spese e/o aumentare le tasse.
Lo scorso fine settimana, il primo ministro Michel Barnier ha detto che ai francesi più ricchi e alle grandi multinazionali potrebbe essere chiesto un “contributo eccezionale”. Martedì il ministro delle Finanze ha rilanciato. “Non imporremo più tasse ai lavoratori, alle persone che appartengono alla classe media”, ha detto Armand. Al contrario, “le persone che dispongono di grandi ricchezze, che tra l’altro a volte non pagano molte tasse… possono contribuire di più nella situazione attuale”. Classe media e lavoratori, ad ogni modo, contribuiranno comunque visto che in agenda ci sono anche importanti tagli alla spesa pubblica.
Sono tutte ipotesi che dovranno essere valutate da Barnier per la messa a punto della legge bilancio che verrà poi presentata in Parlamento ad ottobre. Se questa linea passasse segnerebbe un’ inversione di rotta rispetto alle politiche seguite da Macron basate su tagli alle tasse per famiglie e imprese. Un’impostazione che non ha generato la spinta all’economia sperata, contribuendo ad affossare i conti pubblici.
Il nuovo governo può contare su un sostegno risicato, garantito dai conservatori e dai pochi parlamentari del partito di Macron. L’esecutivo regge per una sorta di patto di non belligeranza con l’0estrema destra di Le Pen. Se si schierasse contro il governo con la sinistra, l’esecutivo non avrebbe scampo. Barnier dovrà cimentarsi in un gioco di equilibrismi per affrontare una situazione che richiede scelte in ogni caso difficili.
Verosimile che, alla fine, il ricorso all’indebitamento verrà considerato come la strada più semplice, almeno nell’immediato. Parigi non avrà problemi a vendere il suo debito che, anzi, con interessi più alti diventa più interessante per gli investitori. Inoltre l’anno prossimo la Germania dovrebbe, viceversa, ricorrere molto poco ai mercati, lasciando più spazio ad altri emettitori. Un nuovo taglio del costo del denaro da parte della Bce potrebbe togliere un po’ di castagne dal fuoco dal braciere di Parigi.