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Messico, la guerra tra Narcos infuria e la Guardia nazionale di Obrador è nel caos: già segnalati 1.700 abusi dei militari

“Abrazos, no balazos”. Doveva essere il motto vincente del presidente uscente Obrador per tirare fuori il Messico dalla violenza dei cartelli della droga. Basta massacri, basta sequestri, basta sparizioni di massa come quella dei 43 studenti nello Stato del Guerrero, avvenuta nel settembre 2014. Obrador voleva interrompere la politica dei suoi predecessori, Calderon e Peña Nieto: avevano promesso sicurezza, ma nel 2018 gli omicidi erano arrivati a 27.000, per poi raggiungere vette di 36.000.

La ricetta “abbracci, non pallottole” però non ha portato i suoi frutti: in realtà, di abbracci Amlo Obrador voleva darne pochi, la sua strategia è stata quella di creare una Guardia nazionale per mettere all’angolo i “cartelli”. Quanto sta avvenendo nello Stato di Sinaloa dai primi di settembre ha smentito Amlo: 53 morti e 51 scomparsi. E sono le cifre ufficiali, per cui si può immaginare in un contesto simile che altri sequestri e altri corpi non siano stati ancora ritrovati. La scintilla che ha portato alla guerra è stata raccontata dalle cronache ed è degna di una sceneggiatura di Narcos, la serie proposta su Netflix che ha divulgato, sebbene in maniera romanzata, la storia dei trafficanti, da Pablo Escobar in Colombia, fino ai cartelli messicani.

Nel Sinaloa, le due organizzazioni più forti – da un lato i Chapitos, figli di El Chapo Guzman, e dall’altro El Mayo Zambada, 74 anni – hanno convissuto fino alla fine di luglio; poi, un giorno Zambada si è ritrovato in manette negli Stati Uniti, ad El Paso. Il suo avvocato, Frank Perez, ha fornito una versione che sembra proprio una sequenza cinematografica: Zambada era stato rapito da Joaquin Guzman Lopez, uno dei figli del Chapo, che assieme a sei uomini in uniforme militare aveva teso una trappola a Zambada e lo aveva caricato forza su un aereo, direzione Stati Uniti. Dinanzi ad un giudice americano, il boss si è dichiarato “non colpevole” di traffico di droga e riciclaggio di denaro. Ma i guai per lui sono solo iniziati: il 6 settembre, il giudice distrettuale Kathleen Cardone ha accolto una mozione per spostare il caso di Zambada al distretto orientale di New York, dove gli sono contestate le stesse accuse.

In Messico, il presidente Andrés Manuel Lopez Obrador ha dichiarato durante una conferenza stampa che le sue forze armate non sono state coinvolte nella cattura di Zambada. Certo è che da quel momento i fedelissimi del Mayo hanno iniziato una guerra senza quartiere con i Chapitos. A rimetterci, come spesso accade, è la popolazione. Scuole chiuse, uffici a mezzo servizio. Impiegati governativi che si recano a lavoro senza sapere se torneranno a casa dalle loro famiglie. Culiacan, la capitale dello stato di Sinaloa, sembra una città-fantasma. Il governatore Rubén Rocha Moya cerca di porre un argine: negli ultimi giorni sono stati 40 gli arresti, 5.000 i pacchi alimentari distribuiti a chi non poteva neppure uscire di casa per fare la spesa.

Qualcuno ha paragonato l’atmosfera a quella che si era creata durante la pandemia: dalle 19 in poi il coprifuoco, mentre cresce l’ansia e il timore per i civili di finire in mezzo all’ennesima sparatoria, o essere rapiti per aver chiacchierato con persone che l’una o l’altra fazione ritengano nemiche. La presenza a Culiacan di pattuglie di esercito e polizia non rasserena: tutti ricordano che a rapire El Mayo sono stati sei “militari”. E quelli che si incontrano per strada potrebbero essere narcos che indossano divise trafugate.

In questo contesto, l’idea di Obrador di una Guardia Nazionale come forza di contrasto gestita dal Segretariato della Difesa Nazionale (Sedena), suscita ancora perplessità, anche se la presidente eletta Claudia Sheinbaum la sostiene. La legge deve essere approvata dal Senato; Obrador assicura, come riportato dall’agenzia Efe, che i 130.000 elementi della Guardia Nazionale “continueranno ad agire con rettitudine”, a differenza di quanto accaduto con la disciolta Polizia Federale, inquinata dalle connessioni con la criminalità organizzata. L’opposizione e le organizzazioni civili temono una militarizzazione del Paese, segnalando che la riforma modifica l’articolo 129 della Costituzione (limita le funzioni militari in tempo di pace, una regola mai cambiata dal 1857).

Resta poi il tema degli abusi: la Commissione Nazionale per i Diritti Umani (CNDH) ha registrato più di 1.700 denunce contro la Guardia Nazionale, ma il presidente le rimanda ai mittenti: “I membri della Guardia Nazionale sono sotto il comando di funzionari del Ministero della Difesa, non abbiamo avuto problemi di abuso di autorità, violazione dei diritti umani, massacri commessi dalla Guardia Nazionale, la gente approva il suo l’operato”. Mentre a Città del Messico si dibatte sul tema, i bene informati raccontano che Mayito Flaco, il figlio di El Mayo, ha creato una nuova alleanza con due nemici di El Chapo: José Gil Caro Quintero, nipote di Rafael Caro Quintero, l’uomo che rivoluzionò il traffico di marijuana, e Isidro Meza Flores. I due gruppi avrebbero messo insieme 350 sicarios pronti a polverizzare i Chapitos. Altro che “abrazos, no balazos”.